Se si vuole fare una bella passeggiata fra i boschi dell’Etna alla scoperta di alberi secolari, protagonisti di storie e leggende ancestrali, e di percorsi che ci conducono fino a grotte ancora poco esplorate, il sentiero su cui incamminarsi è quello di Bronte. La laboriosa cittadina del versante nord ovest dell’Etna, a circa 800 metri sul livello del mare, ci permette di arrivare in auto fino a quota 1.200 attraverso la caratteristica strada in basolato lavico che conduce dall’abitato di contrada Santissimo Cristo a Piano delle Ginestre, attraversando caratteristiche “lave cordate” (pahoehoe) di rilevante interesse naturalistico. Ma sono gli angoli più misteriosi di questo versante del Vulcano ad interessarci. Per questo a Piano delle Ginestre lasciamo l’auto e, seguendo la caratteristica cartellonistica, ci dirigiamo verso monte Ruvolo. Percorriamo una pista forestale che ci conduce ad una grande spianata lavica risalente al 1763. La strada da percorrere è tanta e il tragitto in salita, ma lo spettacolo della natura ripaga gli sforzi. Arrivati ai piedi di “Monte Arso” ci addentriamo in un bosco, ma poi un tratto di colate laviche sovrapposte ci avvicina a monte Lepre fino ad arrivare all’incrocio con la pista forestale che proviene da monte De Fiori. Qui incontriamo la prima meraviglia che profuma di mitologia. Due enormi alberi di querce secolari, veri e propri capostipiti della flora arborea presente nell’area. Alberi imponenti che, secondo la leggenda, simboleggiano una delle due mitiche Porte di Guardia dell’Etna, dove si racconta che Vulcano, Dio del fuoco, abitando le profondità più recondite dell’Etna, collocò due terribili spiriti che lanciavano saette di fuoco ai mortali che tentavano di avventurarsi verso la sua infuocata fucina, dove i ciclopi Bronte, Sterope e Arge foggiavano le magiche armature per gli eroi. A guardare l’imponenza di questi alberi si rimane ammirati, e noi li attraversiamo per dirigerci verso 4 grotte. La prima la raggiungiamo imboccando un piccolo sentiero sulle lave limitrofo a un impianto di monitoraggio dell’Istituto di Vulcanologia. Seguendo degli indicatori di pietra, dopo appena 250 metri si raggiunge la prima. A scoprirla è stato nell’agosto del 2009 Piero Mirenda, ispettore del Corpo Forestale di Bronte. Tornati indietro, giunti a Monte Egitto, seguendo un sentiero si giunge alla seconda grotta, ovvero quella di Monte Egitto. E’ una grotta di scorrimento lavico. La esploriamo inchinati, ammirando le asperità delle pareti fino a scorgere la luce della fessura di uscita. Proseguiamo sopra la nuda lava che rende il percorso accidentato per arrivare alla prima Grotta dell’Angelo e poi proseguendo alla seconda che è molto più grande della prima. Qualunque sia la loro genesi, la natura ha creato una delle sue tante meraviglie che suscita mistero perché queste grotte sono difficili da esplorare, sprigionando un fascino misterioso che alimenta leggende e paure. In antichità, infatti, erano considerate vie di accesso utilizzate da demoni e spiriti verso le viscere della Terra e per questo temute. Il consiglio è quello di ammirarle senza pensare di esplorarle.
Gaetano Guidotto fonte “La Sicilia” del 15-11-2012
Su tutto il territorio etneo, sino ad oggi sono state censite oltre 220 grotte di origine vulcanica. La loro formazione ha seguito di pari passo le manifestazioni eruttive del vulcano che attraverso le sue frequenti colate ha prodotto queste cavità naturali, dove il tempo pare si sia fermato. Sin dall’alba del mondo sappiamo che le grotte hanno sempre rappresentato dei veri e propri misteri e la storia antica e recente dell’uomo è ricca di fatti inspiegabili e non comuni. Forme di paure ancestrali dell’immaginario collettivo, rappresentate da demoni e spiriti maligni, abitanti delle viscere della terra, si sono intrecciate con le fantasiose storie leggendarie di maghi, divinità, esseri demoniaci, briganti e tesori nascosti (truvature), i quali sono stati i veri soggetti di fantastiche vicende.