Chissà com’era, questa piazzetta centocinquant’anni fa. Il 6 agosto del 1860 – raccontano i libri di storia – Bronte era circondata e posta in stato di assedio. Ma i rivoltosi più coinvolti nei fatti di sangue sono già fuggiti; e a Bixio non resta altro che arrestare un avvocato, accusandolo di essere il capo della sommossa, “un reazionario borbonico e controrivoluzionario”. Sotto lo stesso sole cocente, un secolo e mezzo dopo, Bronte è di nuovo circondata. Assediata dalle telecamere di tutti i telegiornali nazionali. Da capitale rivoluzionaria a scenario di un delittaccio di mezza estate. Il Comune ha proclamato il lutto cittadino per il giorno dei funerali (ancora da stabilire), decidendo di annullare tutte le manifestazioni estive da ieri a sabato. E dopo una notte di sangue e follia, piazza De Gasperi, luogo del delitto, si presenta così com’è per 365 giorni l’anno. Tranquilla, vivibile, meravigliosamente paesana. Un posto dove i ragazzini giocano a pallone con il centrocampo sbilenco in mezzo alle mattonelle, dove i genitori si godono il fresco facendo scorrazzare i passeggini, dove le nonne in cortile parlano del tempo e si sfidano a chi cucina meglio la parmigiana. Ma qui il duello di domenica notte è stato di tutt’altra specie. E ora, nel punto dove Matteo s’è accasciato, sono stati deposti dei mazzi di fiori, quasi a coprire le pozze di sangue. Arriva Rosario Conti, padre di famiglia, da una vita nel quartiere. “Sono tornato dalla campagna, oggi non ho voglia di lavorare: Sono scioccato, abito qui da 22 anni e non è mai successo niente. Bronte non è un brutto paese. Certo, i genitori devono fare di più. Io con mia figlia ci provo da quando aveva due anni, a dare delle regole. Adesso ne ha ventiquattro, ma è la stessa cosa…”. Sulla panchina un gruppo di ragazzi. Davide, il più grande, ha vent’anni. Conosce bene i fratelli di Matteo (Seby di 23 anni e Antonio di 20), carrozzieri assieme al padre. Ma smonta la tesi del bulletto di paese: “Certo, chi và in giro con un coltello non è un bravo ragazzo: Ma lui era uno normale”: Anzi, qualche settimana fa un ragazzino che voleva offenderlo, avrebbe detto al futuro assassino: “Tantu “spertu” to patri, tantu scemu tu…” Ci si potrebbe scrivere un manuale di devianza minorile, ma ci fermiamo qui. Qualche centinaio di metri ( e qualche ettolitro di lacrime) più in alto, in via Messina, la casa della famiglia Galati. Decine di persone davanti alla porta, molti in balcone con lo sguardo perso nel nulla. Un amico di famiglia impreca contro giornalisti e telecamere: “Andate via, lasciateci in pace”. In tanti si sciolgono nel ricordo di Matteo: “Era un bravo ragazzo – dice Laura 15 anni – . Era un ragazzo troppo buono, ho saputo quello che era successo perché stanotte alle due mi ha svegliato mio fratello, che ha tentato di soccorrere Matteo”. Una compagna di classe: “Era il migliore. Era amico di tutti e aveva un’attitudine a mettere pace tra le persone”. Altri due ricordano la passione di Matteo: “Le auto, era un patito”. I familiari sono chiusi nella loro prigione di dolore, ma poi il padre Rosario si sfoga davanti alle telecamere: “Mi hanno svegliato di notte, sono andato in ospedale e ho trovato questa sorpresa. Non so ancora cosa provo: Mio figlio era un tipo tranquillissimo, un ragazzo educato con tutti. Matteo era stato promosso in terza media. Era un ragazzo che studiava e alla fine dell’anno scolastico mi aveva chiesto in regalo le cose che chiedono i ragazzi della sua età, una Playstation e cose del genere…”. Molto scossa anche daniela zappalà, dirigente della scuola “Castiglione-Cimbali”, frequentata da Matteo. “Sono sotto choc, come educatrice e come madre”: E poi parla della gioventù brontese, dei suoi alunni: “Non sono diversi da quelli di altre realtà: Stanno crescendo, sono ribelli. Sembrano cattivi, ma non lo sono. A scuola c’è stato qualche episodio, ma non di bullismo”. Un episodio: “Convocai un gruppo di genitori dopo una marachella dei loro figli. E tutti erano accomunati dalla difesa ad oltranza, dando la colpa agli altri compagni e ai professori. E poi questi ragazzi vivono in una realtà troppo virtuale, fatta di computer e playstation, che spesso li porta a non capire la realtà. Nei videogiochi il nemico è un ostacolo da abbattere”. Su face book il profilo di Matteo s’è fermato ieri a 538 “amici”. Ramone piange: “Matteuccio mi manki un sakko…” Il rimpianto di Tony: “Sei andato x fare bene… e adesso nn ci sei più : ( “. Giorgio va giù duro: “Troppi angeli bianchi in cielo… e troppo “bestie” sulla terra!!! Un corteo funebre con tanti “x”, con le “k” al posto delle “c”, dove la rabbia si manifesta coni due punti e una parentesi. Chiusa: Come la vita, innocente di uno di loro. Normale, eppure così speciale.
Mario Barresi fonte “La Sicilia” del 03-08-2010
FIRRARELLO: “TUTTI SCONFITTI, MA LA COLPA E’ ANCHE DEI GENITORI”
.«Il sindaco? È su tutte le furie. Questo omicidio l’ha scosso umanamente, ma adesso è veramente inc…». Entrando in Municipio ce l’avevano detto: al di là dei suoi ruoli politici nazionale e regionale, Pino Firrarello, sindaco di Bronte, è visceralmente attaccato al suo paese. Sindaco, magari vorrà dirci che il suo è un paese tranquillo, dove i ragazzi non vanno in giro a uccidersi col coltello… «No, la cosa che mi preme di più è un’altra. Sento il dovere di unirmi al dolore della famiglia e di condannare il violento assassinio che ha portato via una vita in tenera età. Mi piacerebbe dire, come si fa di solito in questi casi, che è stata una tragedia e che poteva succedere ovunque. Ma quello che è accaduto è una sconfitta generale della città di Bronte. Evidentemente il lavoro per aggregare i giovani, svolto in tutti questi anni, non è stato sufficiente». Ma di chi è la colpa? «Dei genitori, soprattutto. Hanno abdicato dall’esercitare la patria potestà. Non usano il pugno duro, danno troppa libertà. C’è una generazione di 30-50enni che non riescono a stare attenti ai loro figli, alle loro frequentazioni».Ma allora la gioventù di Bronte è irrimediabilmente bruciata? «No, per carità. La stragrande maggioranza sono bravi ragazzi, che studiano e s’impegnano. Ma, se si lascia troppa libertà, le mele marce possono danneggiare tutte quelle buone» Eppure ci sono responsabilità anche al di fuori della famiglia. O no? «Urge l’esortazione da parte di tutte le agenzie educative: la famiglia, la chiesa e la scuola, con determinazione, devono nuovamente ergersi a fervidi sostenitori della moralità e dell’onesta, coltivando fra i giovani comportamenti di rifiuto di ogni forma di violenza e sopraffazione. Ma i genitori non possono sottrarsi a quel ruolo educativo che impone il rispetto per la persona altrui ed il valore della vita. Se non facciamo qualcosa, altri nostri figli innocenti moriranno ancora, vittime della ferocia e dell’indifferenza che purtroppo esiste nella nostra comunità » Mario Barresi fonte “La Sicilia” del 03-08-2010
L’ANALISI DI ROBERTO CAFISO
Magari qualcuno che vive nella pianura Padana ed ama la lirica leggendo del grave episodio di Bronte penserà a Pietro Mascagni e alla sua Cavalleria Rusticana. Ce l’hanno nel sangue, mugugnerà sfogliando pagina, incurante del fatto che stavolta compare Alfio ha solo 16 anni. Noi sfogliamo sempre pagina. Per sopravvivere, diciamo. Umh! Già il 13 luglio da queste colonne avevamo commentato l’accoltellamento di un undicenne a Cattolica Eraclea. I motivi ? Banali liti, si scrive per far capire. Ma forse un vero e proprio terremoto dentro la testa di un ragazzino che tenta di uccidere. Sfogliamo pagina anche quando parliamo di costumi alla deriva, discoteche vip dove ci si impasticca, escort e il Po pieno di residui urinari di cocaina. Il crocifisso sgradito ospite in aula, gli indebitamenti e i posti di lavoro che non ci sono più e fanno impazzire la gente. Ci sembrano cose a sé stanti ed ognuno gira pagina e pensa che ciò che succede a Bronte non c’entra con Lecco. E a Milano penseranno lo stesso delle cose di Catania e così via.L’errore più ottuso è il non voler capire che i fenomeni oltre che trasversali sono omogenei e hanno poche ma chiare matrici sociali. Al Sud ci si può fare ragione con un coltello per una donna, al Nord si possono uccidere i genitori per prendergli il denaro. Importa il motivo? Non troppo, è il registro comportamentale che atterrisce e porta indietro l’orologio del tempo tanto da far diventare un ragazzino un omicida.Si, certo, le famiglie. Talvolta sono vittime di mostri cresciuti a dismisura col volto dei propri figli. Altre volte il seme delle violenza nasce lì dentro. Il modello violento in giovane età di norma è trasmesso da adulti significativi che agiscono violentemente. Oppure la tv, i giornali, e tutta quella tiritera che ci fa commentare per mezzora un fatto come questo. Il gusto del salotto, a volte macabro, altre volte autoreferenziale. Sociologi per un po’, con tanto di show personale più o meno forbito. Il tutto mentre un 13 enne è morto e il suo omicida avrà un futuro segnato per sempre.Sfogliamo pagina, tanto non c’è rimedio. Il sindaco di Bronte ha parlato di sconfitta per l’intero Paese. L’aggregazione giovanile, ha aggiunto, non è stata sufficiente. Parole sane, di responsabilità istituzionale. Responsabilità che andrebbe tuttavia fatta propria da molti genitori dimentichi del proprio ruolo, altre volte incompetenti, qualche volta addirittura controproducenti da un punto di vista educativo. I figli sono della collettività che li adotta facendosene carico e non di chi li ha semplicemente procreati fisiologicamente. Ci piaccia o no alla fine è così.
Fonte “La Sicilia” del 03-08-2010