Da ogni parte del mondo, seguendo la strada ch porta al pistacchio più buono, alla fine si arriva a Bronte, dove pasticceri e ristoratori sono maestri nell’utilizzo dell’“Oro verde dop”. Una tradizione che non è nata dal nulla, ma è frutto di anni e anni di lavoro ed esperienza. E la 23ª Sagra del pistacchio Dop di Bronte che oggi vive la prima domenica di festa, per poi tuffarsi nel weekend clou dal 5 al 7 ottobre, all’interno di ogni stand e dentro ogni crema, torta o gelato che sia, lascia trasparire quell’esperienza che solo chi produce e lavora un frutto da molto tempo può vantare. La storia del pistacchio di Bronte, infatti, è millenaria. Introdotto dai saraceni intorno gli anni 1000 ha occupato qualcosa come più di 3000 ettari di territorio. Si raccoglie ogni 2 anni e negli anni di magra, come questo, i produttori eliminano le gemme, impedendo la nascita del frutto. Questi, infatti, sanno bene che la pianta non producendo per un anno è in condizione di accumulare energie utili per moltiplicare la produzione dell’anno successivo. Una tecnica che però oggi qualcuno mette in discussione. Ci sono dei produttori che stanno provando a raccogliere pistacchio ogni anno, come ci sono produttori che hanno piantato pistacchio anche oltre i terreni lavici, in zone dove la terra, bagnata dal Simeto, è florida e generosa. Fra qualche anno si potranno tracciare i primi risultati e chissà se Bronte ed i brontesi modificheranno le tradizionali tecniche di produzione.Quello che non si potrà mai cambiare è certamente il sistema di raccolta, che ancora oggi viene effettuata con le tecniche di un tempo fra le irte e spigolose lave dell’Etna. Dal frutto sulla pianta bisogna togliere prima il mallo, poi il guscio e per finire quella pellicina che protegge il verde pistacchio. Subito dopo la raccolta il pistacchio va essiccato per ridurre la percentuale di umidità fino al 4%, impedendo la formazione di microrganismi. L’industria dolciaria del mondo ogni due anni fa ampia scorta di pistacchio di Bronte per preparare torte, paste, gelati, e granite, ma anche i ristoratori lo cercano con insistenza conoscendo la sua squisitezza nei primi e nei secondi piatti o arancini. Peccato che se ne produca così poco: pensate, solo l’1% del pistacchio che circola nel mondo è di Bronte. Il resto si chiamerà anche pistacchio, ma buono come quello brontese non lo sarà mai.
L. S. Fonte “La Sicilia” del 30-09-2012