E’ stato Marco Crimi, 33enne randazzese, a introdursi nel sistema informatico e a rubare l’identità telematica della concittadina Maria Pia Risa, pedagogista e giornalista. Così ha stabilito il giudice monocratico Tiziana Maugeri, chiudendo il processo a carico del giovane svoltosi nella seconda sezione penale del tribunale di Catania. Crimi è stato condannato a 4 mesi di reclusione, col beneficio della sospensione della pena; ma è stato condannato anche al “risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in separata sede dinanzi al Giudice civile” e anche a pagare le spese processuali. La sentenza, che è stata emessa a pochi giorni dalla prescrizione del caso, è arrivata dopo oltre 9 anni dai fatti denunciati dalla Risa e dopo oltre 3 anni e mezzo dal decreto di citazione a giudizio a carico dell’imputato e a oltre 3 anni dalla prima udienza. Ed è una sentenza che, in conseguenza delle lungaggini registrate, non produrrà alcun effetto penale dato che il giudice di appello non potrà che riconoscerne la prescrizione. Uno di quei procedimenti “normali” che si estingue senza un motivo scatenante vero e proprio, dopo avere percorso il “normale” iter processuale. Decisive sono state le indagini del compartimento della Polizia postale di Catania, diretto dal dott. Marcello La Bella, con le quali venne identificato Marco Crimi come autore del furto. A lui, in particolare, gli esperti arrivarono quando accertarono che due degli accessi abusivi scoperti erano stati effettuati dal computer di casa Crimi e un terzo dal computer dell’azienda nella quale il giovane in quel periodo lavorava. L’imputato si è comunque dichiarato sempre innocente. E proprio su questa identificazione si era concentrata, nella discussione, l’attenzione delle parti nella penultima udienza del processo, dopo la richiesta di condanna a quattro mesi di reclusione, formulata dal pm dott. Vincenzo Armenio. Il difensore di parte civile, avv. Giuseppe Cristiano, aveva sottolineato come fossero certi gli elementi di prova, incentrati sulle tre incursioni effettuate sul profilo della Risa. Il difensore dell’imputato, avv. Nunzio Calanna, aveva osservato come non ci fosse certezza circa il furto delle credenziali di accesso ad internet nei profili della parte offesa e circa la responsabilità dell’imputato per l’unica incursione certa, dato che quest’ultimo coabita con la madre, la sorella e i nonni. Fonte “La Sicilia” del 10-08-2018