Abbiamo avuto i terremoti in zona Biancavilla-S.M.Licodia (che per ora sono finiti), e subito dopo lo “scoop” diffuso dai media in tutto il mondo, che l’Etna si “precipita” nello Ionio, con scenari apocalittici di mega-frana e tsunami. Una testata britannica se ne è uscita persino con l’immagine della Tower Bridge di Londra investita dallo tsunami .
Insomma, siamo alle solite, si creano dubbi, ansie, angosce, polemiche: tutto ciò che assolutamente non serve ad una vita serena in una zona sismica e vulcanica.
Che i fianchi orientale, sud-orientale e meridionale dell’Etna si stiano muovendo verso l’esterno, lo sapevamo (e l’abbiamo detto in numerosissime pubblicazioni ma anche in molte conferenze per il pubblico) da più di 15 anni. Le prime ipotesi su questi movimenti sono uscite nel 1992, la conferma l’abbiamo avuta in maniera impressionante durante l’eruzione etnea del 2002-2003.
Che c’è di nuovo nello studio dei miei colleghi dell’Osservatorio Etneo dell’INGV e una squadra di colleghi tedeschi? Tutto qui: il movimento del fianco sud-orientale dell’Etna si manifesta non solo a terra, ma anche sotto il mare, al largo della costa ionica. Gli autori pensano che siano soprattutto forze gravitazionali, e in maniera meno importante la spinta del magma che si accumula sotto il vulcano, a provocare queste dinamiche. E certo, dicono anche che non si può escludere un collasso catastrofico di quel settore del fianco dell’Etna, perciò sarebbe imperativo aumentare il monitoraggio strumentale e le ricerche su questi processi, cosa che pare più che ovvia, anche senza il rischio di un enorme collasso.
Si parla di un improvviso movimento di 4 cm nell’arco di pochi giorni registrato dagli strumenti sotto mare nel maggio 2017. Questo certo è un dato importante, ma bisogna anche ricordarsi che all’inizio dell’immenso movimento del fianco orientale del 2002-2003, nella parte alta della Faglia Pernicana, si sono osservati spostamenti di oltre 2 m in un breve tempo.
E’ vero, i vulcani possono collassare catastroficamente. Succede, più frequentemente nel caso di stratovulcani dai fianchi ripidi. L’ultimo caso è stato quello del Mount St Helens nello stato di Washington negli Stati Uniti nel 1980. Alcuni vulcani lo fanno anche ripetutamente, come il St Augustine in Alaska. Comunque, stiamo parlando di eventi estremi, e penso sappiamo tutti bene che gli eventi estremi sono anche quelli statisticamente meno probabili. Così come quando ho un po’ di mal di gola, non vuol dire che entro due giorni morirò di cancro. Dobbiamo preoccuparci di tantissime cose, perché le rogne ci aspettano sempre e dietro ogni angolo. Auto-terrorizzarci per lo scenario remoto di un mega-collasso e mega-tsunami dell’Etna, mi pare esagerato.
Per approfondire un po’, leggete il bel articolo scritto dal mio collega-amico Marco Neri sullo “tsunami ritrovato”: http://www.lagazzettasiracusana.it/etna-lo-tsunami-ritrovato-ecco-spiegate-le-ipotesi-della-ricerca-italo-tedesca/ — ma non guasta anche leggere l’articolo alla base di tutto questo hype, quello scritto dal team tedesco-italiano, “Gravitational collapse of Mount Etna’s southeastern flank” (è open access): http://advances.sciencemag.org/content/4/10/eaat9700
FOTO DI GIUSEPPE FAMIANI