È stata appellata dalla difesa la sentenza a carico del giovane randazzese condannato per furto d’identità telematica ai danni di una concittadina. Così il caso sarà esaminato in Corte d’Appello. Si tratta di una sentenza che può fare giurisprudenza, sia perché si tratta di una delle prime in materia, sia perché la giudice monocratica della seconda sezione penale, Tiziana Maugeri, ha affermato nelle motivazioni che non ci sono dubbi sulla colpevolezza dell’imputato, Marco Crimi, 34 anni; mentre la possibilità da parte di quest’ultimo di introdursi nel profilo telematico di Maria Pia Risa, pedagogista e giornalista, era stata esclusa dal tecnico di parte sentito come teste. Il processo si è sviluppato su due filoni: l’introduzione abusiva nel profilo Facebook e nella posta elettronica di Risa e la responsabilità dell’imputato per queste operazioni illegali. E al termine ha portato alla condanna dell’imputato a 4 mesi, pena sospesa, al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
Una vicenda giudiziaria lunga, che inizialmente prevedeva anche l’accusa di diffamazione, caduto poi per un errore di trascrizione; un procedimento non ancora chiuso, anche se sostanzialmente prescritto. Accertata l’introduzione abusiva nei profili della Risa, è stata decisiva, ai fini dell’inchiesta, l’identificazione degli apparecchi dai quali partivano gli “attacchi” e, quindi, gli autori di questi ultimi. La Polizia postale del compartimento di Catania ebbe risposte precise alle domande poste a Facebook e a Microsoft. Furono documentate quattro introduzioni abusive in tre giorni diversi in danno della Risa: la mattina del 17 novembre del 2010 nell’indirizzo di posta elettronica da un computer della ditta di infissi metallici nella quale lavorava in quel periodo l’imputato; l’indomani sulla posta elettronica e sul profilo Facebook dallo stesso pc e il 21 novembre, solo sul profilo Fb, dal computer dell’abitazione di Marco Crimi. Il giudice Maugeri, nelle motivazioni della sentenza, considera questi accertamenti come prove certe e ricorda che gli indirizzi IP possono essere detenuti solo per un anno dalle multinazionali che gestiscono la rete; così si giustifica che agli atti risultano solo tre riscontri tecnici. Ciò non significa, infatti, che le introduzioni abusive si siano limitate a quelle rilevate, perché nella sua denuncia la prof. Risa riporta diverse introduzioni contenenti frasi offensive e a volte scurrili, oltre che filmati pornografici. In giudizio Marco Crimi, che si è sempre detto innocente, è stato difeso dall’avv. Nunzio Calanna, mentre la parte civile è stata rappresentata dall’avv. Giuseppe Cristiano. Fonte “La Sicilia” del 01-12-2019