Il 2 giugno 1946 l’Italia scelse di non essere più suddita ma di essere governata da uno Stato orientato ai principi di libertà, democrazia e coscienza civile. Ciò comportò un cambiamento non solo culturale, ma anche politico, storico e sociale. Fu un traguardo importante, segnò l’accesso ufficiale della presenza femminile nella sfera pubblica che, fino ad allora, era stato negato. Come non ricordare le 21 donne su 556 elette nell’ Assemblea costituente, 5 delle quali furono chiamate a far parte della Commissione dei 75, incaricata di redigere il testo della Costituzione; il loro lavoro e il loro contributo furono determinanti per l’affermazione del principio di uguaglianza e per lo sviluppo di un Paese moderno. Il ruolo di queste donne stravolse la statica figura femminile, inserendo nella Costituzione principi e articoli che ne riconoscessero il ruolo, ne migliorassero le condizioni e affermassero la parità di diritti. La nostra Costituzione del ’48 esprime anche gli obiettivi conseguiti delle donne, come l’art. 3 (… senza distinzioni di sesso), l’art. 37 (la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore), l’art. 48 (sono elettori tutti cittadini, uomini e donne che hanno raggiunto la maggiore età). Con l’approvazione della Carta iniziava, quindi, il viaggio versa la parità. Alla forza delle donne dobbiamo la legge sul divorzio, con il referendum del ’74, la legge di parità nel ’77, la riforma del diritto di famiglia nel ’75, la cancellazione, come reato, dell’adulterio femminile nel ’68 e del delitto d’onore nel 1981, dello stupro come reato contro la morale e non contro la persona nel 1996; tanto si deve alla generosità delle grandi donne che ci hanno preceduto; si pensi alla regolamentazione degli orari di lavoro o ai tanti altri diritti rivendicati e ottenuti nelle fabbriche, o alle conquiste di genere.
I beneficiari non sono state di certo solo le donne di quella che si è tradotta in Carta dei diritti e oggi è lo Statuto dei lavoratori. L’analisi del contesto storico, oggi, ci porta a comprendere che le sfide del terzo millennio superano il contesto di una fragilità tradizionale riferita al genere femminile, perché la fragilità riguarda l’intera popolazione, la quale si trova a confrontarsi con una economia globalizzata che non guarda più l’essere umano come obiettivo primario di ogni azione sociale. Il percorso di secolarizzazione della nostra società non mette più la persona al centro di ogni valore, sono superati i vincoli territoriali, non più nazioni, ma aree economiche, non più donne e uomini, ma soggetti di un incerto stato di diritto. La stessa fragilità, la stessa ansia vissuta dalle donne viene oggi trasferita alle nuove generazioni. La sfida del futuro? Non più una cultura della parità ma dell’equivalenza di valore, in quanto donne e uomini. Il dualismo uomo-donna chiede di evolversi culturalmente ed esige il sorgere di una coscienza delle due identità, quella dell’uomo e della donna, come ologrammi di una stessa realtà, quella della dimensione umana, modellata sin dal principio sull’archetipo del maschio/femmina. La percezione è che la lotta per il raggiungimento di una democrazia paritaria sia una questione che non riguarda più solo le donne, quale anello debole della società, ma le nuove generazioni. Le donne, da sempre, si sono distinte nella consapevolezza che un Paese cresca nel sapere, nella conoscenza e nei valori.
Questo nostro Paese, da questo punto di vista, è bloccato; spegnendo i valori a cui attingere, si spengono le idee; il futuro delle nuove generazioni, la speranza di raggiungere obbiettivi. Oggi manca un modello appropriato alla realtà presente, alla pluralità crescente di condizioni e di esigenze che garantiscono sicurezza e speranza; mai come adesso che s’è celebrata la Festa della Repubblica, il tema dell’uguaglianza sancito dal dettato costituzionale è vivo più che mai. Margherita Ferro Fonte “La Sicilia” del 03-06-2020