Riprodurre uno schema del cervello in grado di apprendere la natura delle molecole, atomo per atomo; progettare molecole per trovare nuovi antibiotici, senza però avere un obiettivo iniziale preciso. Un approccio rivoluzionario, che si basa su metodi computazionali; non si rintracciano strutture specifiche o classi molecolari ma si istruisce una rete neurale per analizzare un gruppo di molecole con una determinata attività. E’ lo studio fatto da Jim Collins, esperto di biologia sintetica del (Mit) Massachusetts Institute of Technology in collaborazione con Regina Barzilay, ricercatrice sull’intelligenza artificiale (Ia) anch’ella dello stesso istituto. I ricercatori hanno istruito l’algoritmo per analizzare un gruppo di molecole catalogate sotto il nome di Drug Repurposing Hub a cui ne appartengono circa 600, in modo da studiare alcune malattie. Inoltre, si sono serviti dell’Ia per prevedere quali molecole bloccano il fiorire dell’escherichia coli e rivelare quelle che si distinguevano dagli antibiotici comuni. Dai risultati ottenuti, gli studiosi hanno selezionato circa 100 molecole da poter utilizzare per i test fisici, ma hanno notato che una di queste molecole è già in fase di sperimentazione per curare il diabete; il suo nome è halicina e deriva da Hal, il computer intelligente del film di Stanley Kubrick, nel “2001: Odissea nello spazio”. A quanto pare, il cineasta ha saputo anticipare di decenni gli scienziati nel rappresentare l’intelligenza artificiale, con Hal, il computer di bordo intelligente, protagonista del film. La sapeva già lunga il pc, che in tante frasi ostentava le sue qualità. Dagli studi effettuati emerge che il funzionamento della halicina arresta il movimento dei protoni tramite la membrana cellulare, cioè agirebbe in maniera insolita rispetto gli antibiotici che operano attraverso il blocco degli enzimi implicati nella biosintesi delle membrane cellulari, la sistemazione del Dna o la sintesi proteica. Da test effettuati sugli animali si è constatato che l’halicina ha una tossicità molto ridotta e soprattutto non crea antibioticoresistenza. Solitamente quest’ultima si manifesta dopo pochi giorni ma, in questo caso, non si è riscontrata neanche dopo 30 giorni. Gli studiosi hanno passato al vaglio oltre 107 milioni di insiemi molecolari in un database battezzato Zinc15; restringendo la lista su 23, i test fisici ne hanno riscontrato solo otto con capacità antibatterica, due dei quali agivano in maniera importante contro una ampia scala di agenti patogeni e annientavano anche i ceppi di escherichia coli resistenti agli antibiotici.
La speranza del team consiste adesso nel trovare collaborazioni con aziende esterne per introdurre l’halicina nei test clinici ed avere la possibilità di dilatare questa esperienza per scoprire nuovi antibiotici. Se questo desiderio trovasse terreno fertile, tutto il mondo ne trarrebbe beneficio ed in particolar modo l’Italia, Paese che registra più decessi da antibioticoresistenza in Europa. Per questo bisogna ottenere, e con una certa velocità, sistemi nuovi per sconfiggere il batterio, perché quest’ultimo riesce sempre a trovare il modo, con mutazioni spontanee o acquisizioni di geni da altri batteri con quella che si definisce coniugazione, ad essere resistente. Quindi investire nella ricerca è importante ed è l’unico modo per impedire ciò che l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) considera un problema nocivo per la salute collettiva; infatti, se si procede su questa traiettoria, le previsioni del 2050 sono catastrofiche perché, secondo alcuni studiosi, si avrebbero milioni di morti per infezioni comuni. Sono in aumento i lavori di natura computazionale, cioè capaci di scoprire certe molecole che potrebbero aprire la strada a nuovi antibiotici. Ma l’aspetto davvero sorprendente sta nell’ educare l’algoritmo di intelligenza artificiale a ottenere nuove scoperte partendo da zero, cioè dai modelli completamente estranei all’uomo. Maria Pia Risa Fonte “La Sicilia” del 25-07-2020