Lo sposo si fa attendere. Nelle partecipazioni c’era scritto alle 10, ma mezz’ora dopo non c’è traccia di lui. Ma qui, in piazza, nessuno scalpita più di tanto. «L’abbiamo aspettato per cinque anni, questo giorno, che volete che sia un po’ di ritardo…», lo giustifica Maria De Luca, consigliera «da sette legislature, sempre con lui». Accanto c’è il di lei fratello, Pippo, sindaco di Maletto. «Il nostro è un rapporto fra passato, presente e futuro. Non vedo l’ora di riprendere a lavorare con lui sui discorsi in sospeso: l’Etna, lo sviluppo, l’ospedale…». Enza Meli, segretaria etnea della Uil, non sta nella pelle: «Faremo grandi cose». Clima euforico, aria frizzante. È speciale, questa domenica d’autunno in montagna. E lo sposo sorprende tutti. Non arriva in auto, ma a piedi. Mano nella mano con l’inseparabile Maria (da 55 anni al suo fianco), Pino Firrarello sbuca all’improvviso da una traversa. Lo osannano, lui fa un cenno col capo. E sale, con lenta emozione, la scalinata, senza calpestare il tappeto rosso che gli hanno srotolato. Non siamo in chiesa. Ma al municipio di Bronte. La sua tana, il suo habitat naturale. E, secondo il 45% dei brontesi, non il suo ospizio. «Mio nonno ha energia da vendere, ancora dà lezioni a tutti. Faremo cose bestiali…», annuncia il nipote Carlo Castiglione, secondogenito dell’ex sottosegretario Giuseppe. «Oggi alla messa delle 9 all’Annunziata non c’eravate…», il rimbrotto d’ un parrocchiano al big alfaniano. Ma è un’assenza giustificata. La dinastia è tutta qui, quasi al completo. C’è Lucia, la figlia-fotocopia di Firrarello, c’è l’altro nipote Paolo, giovane “nerd” della campagna sui social; manca solo il primogenito Andrea, brillante cervello in fuga da Pistacchioland. Ci sono i condottieri del centrodestra locale, gli assessori designati (il vicesindaco è Antonio Leanza, figlio di Turi, storico leader socialista etneo) e i candidati in consiglio, gli eletti e quelli rimasti fuori. Quasi tutti i più votati si chiamano Castiglione. Parenti? «Alcuni sì, altri sono ceppi diversi», precisano. Una festa di famiglia, una gioiosa scampagnata in mascher(in)a per riprendersi il comune che l’ex senatore ha già governato tre volte: nel 1984-86 e dal 2005 al 2015. In cima alla scalinata c’è un momento solenne. La proclamazione, officiata da Riccardo Mangani, presidente dell’ufficio elettorale centrale. Goffo con la fascia tricolore: «La metta lei, che è esperto…», gli dice. E quando scandisce quei «cinquemiladuecentocinquanta voti» nello sguardo di Firrarello scorrono le crocette sulle schede elettorali, una per una, come i dollari di Paperon de’ Paperoni.
Costretto a rinunciare al comizio di ringraziamento, «perché in paese c’è solo un positivo e poi se aumentano dicono che è colpa mia», si sente in dovere di fare il primo discorso. Dichiara guerra alla «paura che si diffonde nel paese», consapevole che «ci avviamo verso la stagione dei raffreddori facili e dunque se arriva un 37 di febbre non possiamo chiudere una scuola». Annuncia il primo impegno amministrativo: domani alle 10 incontro con dirigenti scolastici e genitori. La linea è chiara: «A Bronte, da casa, senza mascherina, non deve uscire nessuno» e le famiglie devono «creare le condizioni per disinfettare i propri figli, comprandogli dei disinfettanti che devono portare appresso». Applausi. Si entra. I dipendenti comunali, ossequiosi, salutano il vecchio-nuovo sindaco. È la presa del municipio, strappato dopo un quinquennio al dem Graziano Calanna. È lui «la vera molla» della ricandidatura a 81 anni, una vendetta contro quel giovanotto che «non mi fece prendere la parola in una pubblica conferenza, dicendo che non ne avevo titolo». Rieccolo. Con in bocca il «sapore di una vittoria diversa da tutte le altre, perché se ti ridanno la fiducia quarant’anni dopo la prima volta – ci dice con la voce rotta dalla commozione – significa che non hanno dimenticato quello che hai fatto». Firrarello, the return. «Si apre una nuova stagione», assicura il genero Castiglione, che ha infiammato il rush finale con «uno dei migliori comizi della mia carriera». Dentro la sua stanza da sindaco, l’ex senatore è sottoposto a selfie e scatti a ritmo quasi salviniano.
Il nipote Carlo stappa lo spumante. Il prequel di una sua candidatura alle Regionali? «Io faccio il consigliere comunale, sono un soldato semplice». Ci sono i vecchi amici di sempre, il mitico Pippo Pecorino e gli ex sindaci Ciccio Spitaleri e Nino Paparo. Quest’ultimo si lancia in un amarcord che parte da «quando andavo al liceo», lo interrompono mentre è arrivato appena al 1986. Ma riesce a dire la cosa a cui tiene di più: «Non potendolo attaccare su moralità e dinamismo, hanno offeso Pino dicendo che anziano. Ma lui è un giovanotto!». Il sindaco sorride compiaciuto. «L’unico argomento contro di me era l’età. Ma non hanno capito – ci confessa in disparte – che oggi il mondo è governato dagli ottantenni». La sua Maria lo rimprovera: «Tirati su la mascherina!». E lui obbedisce. Dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna? «Macché, è stato lui a fare grande me», risponde prima di congedarsi perché «se non vado a cucinare, addio pranzo di festeggiamento per tutti». Tutti, ovvero «una famiglia stupenda: quattro nipoti, due figlie e due generi meravigliosi». I Firrarello’s. Re a vita nel regno di Bronte e da oggi, con questa nostalgia canaglia di vecchia Dc, pronti a riprendersi le meravigliose sorti e progressive della Sicilia. Mario Barresi Fonte “La Sicilia” del 12-10-2020