La notizia dell’omicidio di Ada è arrivata ieri mattina come una bomba, nella sede del Telefono Rosa a Bronte, tirandosi dietro un gran senso di frustrazione. Anzi di «profondo fallimento, come donne prima che come associazione di volontariato – dice scoraggiata la presidente Antonella Caltabiano – perché penso che quando succedono queste cose sia un fallimento per tutti indistintamente. Per chi, magari, lo sapeva per via indiretta, i vicini di casa, le forze dell’ordine, noi… Tantissimi cittadini ci hanno telefonato per chiederci se la signora si fosse rivolta a noi, se avesse denunciato… Ma lei non ha mai avuto contatti con il nostro centro, siamo una piccola comunità, è probabile che sapesse della nostra esistenza, ma non si è sentita di compiere il passo decisivo, cioè chiedere aiuto. Magari non avremmo evitato la tragedia, ma non siamo state messe nelle condizioni di poterla aiutare. Per noi sono momenti di profondo rammarico».
Vanessa, Chiara, Ada, tre femminicidi nel giro di 15 giorni di cui due in provincia di Catania, ma perché la strage delle donne non interessa nessuno? «I femminicidi, purtroppo, ci sono sempre stati. Oggi l’attenzione si focalizza di più su questo tema perché nel 2020 non è possibile che la cultura patriarcale sia ancora così radicata. Ci si sconvolge di più perché queste morti riguardano la tua quotidianità, avvengono in quel posto dove tu dovresti avere serenità, protezione, tranquillità e invece casa tua si può trasformare in un luogo terribile».
Una cosa è certa, il “sistema” non funziona… «Non facciamo che ribadirlo. Da anni critichiamo il sistema di prote zione delle donne, perché nel momento in cui denunciano sono quelle che devono fare i sacrifici maggiori. Sono loro a doversi allontanarsi da casa, loro a doversi sradicarsi dal loro contesto, a non poter più contare su punti di riferimenti come madri, sorelle, amiche. È vero che sono stati fatti tanti passi avanti, ma indubbiamente non basta».
Oggi i tempi di reazione a una denuncia sono adeguati? «Il codice rosso ha ridotto questi tempi e di questo dobbiamo rendere merito, ma le misure che vengono adottate, e i numeri ce lo dicono, non sono sufficienti».
Cosa cambierebbe da subito? «In primis la mentalità di chi raccoglie le denunce delle donne. Molte volte la donna quando denuncia viene additata, non creduta. Quando parla di determinati soprusi non sempre dall’altra parte c’è chi ti sa ascoltare in maniera adeguata. Prima di tutto andrebbe cambiata quest’impostazione, magari con dei corsi di formazione specifici. Le donne che affrontano il passo più grande, cioè parlare, sanno benissimo che spesso, quello che dicono non è considerato veritiero. Ancora oggi, tante volte nei Tribunali il processo viene fatto alle donne. Purtroppo è così, è cambiato poco. L’attività dei centri antiviolenza va a sopperire le lacune che purtroppo esistono nel nostro ordinamento, la donna che si rivolge a noi ha anche un immediato sostegno economico. Noi ci autofinanziamo per sostenere la donna a 360°, ma tante volte il tema della violenza sulle donne viene utilizzato solo per propaganda. Si fanno tantissime iniziative ma non c’è mai un seguito concreto, resta una cosa fine a se stessa. Per esempio, quando è stata uccisa Vanessa abbiamo avuto un’impennata di chiamate da parte di donne disperate che avevano denunciato e si riconoscevano in quella storia, temendo che quello che avevano fatto non fosse sufficiente. Come non dare loro ragione? Ma non possiamo fare passi indietro, dobbiamo impegnarci, andare avanti, insistere».
Chi vi finanzia? «Nessuno, ci autofinanziamo. Abbiamo fatto qualche progetto con l’Ue per la sensibilizzazione nelle scuole, una cosa che già facciamo da anni e che in questo caso abbiamo implementato, poi abbiamo portato avanti un altro progetto con il ministero per le Pari opportunità per il reinserimento lavorativo delle donne che è la cosa più importante».
Dalla Regione sono arrivati mai finanziamenti? «Abbiamo fatto una richiesta di rimborso spese, ma non so nemmeno se abbia mai avuto una risposta».
Lei è un’insegnante, come racconta ai suoi ragazzi il femminicidio? «Dicendo loro che ognuno deve fare la sua parte. Siamo tutti responsabili anche se ti trovi a casa, senti urlare la tua vicina e non fai niente. Ci dobbiamo attivare in prima persona senza aspettare che le cose le facciano gli altri». Il numero per contattare il Telefono Rosa é: 389 9146209 Carmen Greco Fonte “La Sicilia” del 09-09-2021