Condannato a 30 anni il presunto capoclan di Bronte, Francesco Montagno Bozzone. Il processo, con il rito abbreviato, si è svolto dinanzi al Gup del Tribunale di Caltanissetta, Ottavio Sferlazza. Il capomafia brontese è stato ritenuto uno degli esecutori materiali del delitto di Domenico Calcagno, imprenditore di Valguarnera, centro in provincia di Enna, compiuto nel 2003. Il pluripregiudicato era stato raggiunto in carcere da un’ordinanza di custodia cautelare nel maggio 2008 perché accusato, con l’altro brontese Vincenzo Sciacca, 32 anni, di avere organizzato logisticamente l’agguato, su richiesta di Francesco La Rocca, capofamiglia di Caltagirone e di Alfio Mirabile, esponente del clan Santapaola. Un delitto che ruoterebbe attorno alle tangenti imposte dai Santapaola alla Ira Costruzioni. Calcagno, che era legato al boss di Enna, Gaetano Leonardo, si era presentato al cantiere della strada Nord-Sud, in costruzione nell’Ennese, e aveva chiesto la tangente. L’impresa all’epoca aveva però raggiunto l’«accordo» con il clan Santapaola, ai cui esponenti pagava la tangente sui diversi cantieri. Erano poi i santapaoliani, in base ai legami con le varie famiglie di Cosa nostra, a versare ai capi provinciali una percentuale della tangente. In questo modo l’impresa non rischiava di pagare più volte e aveva la garanzia di non subire attentati. L’intromissione di Calcagno, secondo l’accusa, venne quindi punita con la morte perché metteva in discussione gli accordi presi dai santapaoliani con la Ira Costruzioni. Ieri, intanto, al processo con il rito ordinario in Corte d’assise a Caltanissetta contro Sciacca ha deposto l’ex primula rossa del clan catanese Santapaola e oggi pentito, Umberto Di Fazio, teste del Pm Roberto Condorelli. Il pentito ha dichiarato di avere avvisato Calcagno dei rischi che correva a presentarsi al cantiere della strada Nord-Sud. Di Fazio all’epoca non era più ben visto nel clan Santapaola, al cui interno erano cambiati diversi assetti, e ha sostenuto di essere stato lui a riscuotere la tangente sul lotto stradale in costruzione in territorio ennese, ma che a un certo punto il «mediatore» che aveva effettuato a lui i pagamenti, gli spiegò che per i Santapaola era subentrato Alfio Mirabile. «Sapevo che la tangente veniva poi spartita con La Rocca – ha detto – e la nuova mafia provinciale di Enna, vicina a Bevilacqua e ai pietrini». Intanto, sempre in Corte d’assise è alle battute finali il processo contro i presunti mandanti del delitto Calcagno, Francesco La Rocca, Alfio Mirabile, Raffaele Bevilacqua e Filippo La Rocca. Lunedì prossimo, nel processo ai mandanti, dovrebbe essere chiusa l’istruttoria dibattimentale e fissate le udienze per le conclusioni e la sentenza.
Giulia Martorana fonte “La Sicilia” del 05-02-2009