“A fianco delle imprese in questo momento particolarmente difficile, ma assoluta intransigenza nei confronti delle aziende che, in caso di fermi produttivi o sospensioni dal lavoro, non mettono i lavoratori in condizione di attingere agli ammortizzatori sociali”. Questa la posizione comune delle organizzazioni sindacali di categoria che, di fronte alla crisi che rischia di travolgere il distretto tessile di Bronte, tentano in tutti i modi di tutelare i lavoratori. “Il direttore dell’Ufficio provinciale del Lavoro Domenico Palermo – ci dice Gino Mavica della Cgil – convocherà nuovamente le imprese per analizzare caso per caso la loro posizione con i lavoratori. Oltre a ciò lo stesso Palermo sta cercando di incontrare l’assessore regionale al Lavoro per creare le condizioni affinchè si attinga ad un finanziamento di 5 milioni di euro del Ministero e consentire la cassa integrazione dei lavoratori delle imprese artigiane e di conseguenza anche delle imprese tessili”. “Oltre a questo – conclude Mavica – personalmente ho chiesto ieri alla Prefettura d’intervenire convocando un tavolo con le istituzioni locali”. “L’applicazione degli ammortizzatori sociali in questo momento è l’obiettivo prioritario, – aggiunge Rosario Gangi della Cisl – però è anche vero che la crisi che oggi ci spaventa negli anni passati era già stata annunciata. Se allora avessimo impedito ai grossi marchi, che si fregiano di vendere il Made in Italy, di produrre all’estero, il Polo tessile di Bronte oggi sarebbe salvo”. Intanto sono molti i lavoratori tessili che rimangono in stato di agitazione nell’attesa che si risolva la trattativa fra alcune aziende di Bronte e la Diesel. Se questa, infatti, dovesse andar male ci hanno già annunciato essere pronti ad ogni forma di protesta.
Gaetano Guidotto fonte “La Sicilia” del 04-03-2009
BRONTE IL FUOCO SOTTO LA CENERE “PIU’ CONTROLLI PER IL MADE IN ITALY”
Il fuoco cova sotto la cenere a Bronte: è il fuoco della rabbia, della paura, dell’incertezza per il domani. E’ il fuoco che brucia le vene degli oltre 800 addetti (compresi quelli dell’indotto) che lavorano nel polo tessile di contrada Santissimo Cristo, e che sono a un passo dall’incrociare le braccia perché costretti dal taglio delle commesse deciso dalla Diesel (Bassano del Grappa) che nel giro di due mesi ha toccato il 70% del totale. «Il polo di Bronte resta nel cuore industriale della Diesel – ribadiscono dal Veneto –. Mai rinunceremo ai jeans di fascia alta che le aziende siciliane producono per noi. Come filosofia aziendale, siamo e saremo per il made in Italy anche a scapito dei nostri margini di guadagno. Per adesso, siamo costretti a tagliare gli ordini a causa del calo delle vendite. Speriamo che la crisi possa passare presto». Ma sia le maestranze, sia i sindacati, sia gli operatori brontesi non si fidano e sono pronti a dare battaglia: «I conti della holding veneta sono più che floridi – insiste Giuseppe Marino, titolare dell’omonima ditta –. Malgrado la recessione, il segmento dei jeans continua a tirare, sia in Europa sia oltre oceano. La verità, forse, è che la Diesel vuole aumentare i propri margini di guadagno e così preferisce rifornirsi di più nelle proprie fabbriche di Marocco e Tunisia dove un capo costa 2,40 euro, piuttosto che continuare ad acquistare da noi dove il costo dello stesso capo oscilla tra i 5 e i 7 euro». «Intendiamoci – conclude Marino –, loro sono liberissimi di andarsene in Africa. Ma a un patto: che i capi di abbigliamento prodotti lì poi non vengano commercializzati con il marchio made in Italy. Su questo fronte, le grandi imprese italiane da troppo tempo stanno giocando con due mazzi di carte: ed è illegale. Perché lo Stato non interviene? Perché la Guardia di finanza non stringe le maglie dei controlli? Benetton, per fare un esempio, produce fuori dai confini nazionali più di 80 mila capi al giorno? Su quanti di questi c’è il marchio made in Marocco o made in Cina? Sicuro che, riportati in Italia per il completamento delle confezioni, alla fine non spunti un made in Italy?». «Vi racconto un fatto che potrebbe dare la dimensione del fenomeno – aggiunge Vincenzo D’Amico, responsabile tecnico alla Bronte Jeans –. Qualche settimana fa, in una boutique di Catania abbiamo acquistato un paio di jeans della Diesel con tanto di marchio made in Italy. C’era qualcosa di stonato nell’etichetta e questo ci ha spinti ad aprire il portafoglio per cercare di capire. Abbiamo portato il capo in azienda e l’abbiamo passato al microscopio. Ebbene: la scritta made in Italy era stata sovrapposta a un’altra: made in Vietnam. Insomma: il paio di jeans in questione era taroccato». «Purtroppo – replicano subito dalla Diesel – il nostro gruppo subisce in maniera spropositata l’offensiva dei falsi. Abbiamo dovuto creare un ufficio legale per fronteggiare il fenomeno. Nel caso specifico, il jeans di Catania è di contrabbando».
Alfio Di Marco fonte “La Sicilia” del 04-03-2009