E’ in continuo aumento l’incidenza delle infezioni nosocomiali, tanto che l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) ha lanciato l’allarme sui rischi connessi. E’, questo, un grande tema della medicina e della ricerca, in Italia e nel mondo. Ne parliamo con il prof. Giovanni Tringali (nel riguadro), microbiologo. C’è consapevolezza, nell’ambiente medico, dei rischi rilevati dall’Oms? «La consapevolezza c’è, purtroppo ci sono diverse variabili che entrano in campo comportando un approccio sbagliato. Spesso i medici e soprattutto il “dottor Google”, che ci ostiniamo a consultare per ogni cosa e non di meno per la questione salute, somministrano impropriamente gli antibiotici favorendo la chemioresistenza».
Cosa sono i chemioterapici e che intendiamo per chemioresistenza? «I chemioterapici sono delle molecole sintetiche ad attività batteriostatica o battericida. Gli antibiotici non sono tutti battericidi perché alcuni uccidono i batteri, altri invece causano il blocco della moltiplicazione battericida e, quindi, sono batteriostatici (il batterio rimane ma si blocca, dando così al corpo il tempo di sintetizzare anticorpi, circa 9 giorni, così da contrastare l’infezione). La chemioresistenza è l’insensibilità del ceppo batterico verso un antibiotico (di origine naturale) o un chemioterapico (di origine sintetica)». Quali sono i rischi reali? «La chemioresistenza agli antibiotici costituisce un grave pericolo di salute pubblica perché ci potrebbe portare indietro nel tempo, all’era preantibiotica, prima del 1920 quando, per una semplice infezione virale, si pensi alla spagnola, ci furono milioni di morti, proprio perché non si disponeva di antibiotici». Quando si usano “impropriamente” gli antibiotici? «Si prescrive spesso l’antibiotico per l’influenza, per un raffreddore, per la diarrea del viaggiatore; l’antibiotico, tranne in casi selezionati, non va usato. Inoltre, non bisogna mai servirsi del “fai da te” perché deve essere unicamente il medico a stabilire se è il caso di somministrare l’antibiotico e le relative dosi e durata. Spesso il paziente, erroneamente, sospende l’antibiotico quando scompaiono i sintomi e questo è sbagliato. Altro errore è l’assunzione dell’antibiotico a largo spettro, perché, tranne in casi urgenti, bisogna sempre fare prima l’antibiogramma, un esame che permette di valutare se un microrganismo è sensibile a un certo antibiotico o no».
Cosa succede con la somministrazione dell’antibiotico ad ampio spettro? «Gli antibiotici a largo spettro oltre a uccidere i batteri patogeni uccidono anche i commensali i quali possono diventare resistenti e trasmettere il gene della chemioresistenza ad altri batteri. Infatti, l’Oms raccomanda quando possibile di eseguire l’antibiogramma, considerati i dati allarmanti relativi alle infezioni nosocomiali in costante incremento». I dati siciliani destano preoccupazione? «L’Italia è la nazione che registra più decessi da antibioticoresistenza in Europa. Non ho dati sulla Sicilia». Si può dire che c’è mancanza di cultura? «C’è purtroppo ancora molta disinformazione. L’antibiotico ad ampio spettro ha ingenerato nei medici il concetto che si può adattare a qualsiasi situazione. E’ comodo prescriverli, ma bisogna avere la consapevolezza di quello che si sta facendo».
La chemioresistenza negli uomini può essere causata dall’alimentazione con carne di animali trattati con dosi eccessive di antibiotici? «Decisamente sì. Gli antibiotici vengono dati all’uomo e alle volte anche le stesse molecole vengono somministrate agli animali per prevenire le malattie come la mastite bovina (per esempio la amoxicillina, un derivato delle penicilline); in questo caso, se i tempi di macellazione non vengono rispettati e quindi neanche i tempi di smaltimento dell’antibiotico, l’uomo assume antibiotici senza saperlo. Tra l’altro occorre anche considerare che noi riusciamo ad ingerire, inconsapevolmente, una serie di sostanze chimiche, fino a 10 chili l’anno come additivi alimentari usando i prodotti da supermercato, come addensanti, emulsionanti, gelificanti, coloranti, stabilizzanti». Quale incidenza può avere la ricerca nella soluzione del problema? «Notevole. Bisogna trovare sempre e con una certa velocità sistemi nuovi per sconfiggere il batterio, perché quest’ultimo con il tempo riesce a trovare il modo, tramite mutazioni spontanee o acquisizioni di geni da altri batteri con la cosiddetta coniugazione, ad essere resistente; quindi c’è una continua lotta tra la velocità della ricerca nel trovare molecole batteriostatiche e la velocità del batterio di adattarsi a quell’antibiotico. Investire nella ricerca è importante, è l’unico modo per contrastare quello che l’Oms ritiene un pericolosissimo problema per la salute pubblica, perché se continua così, si prevede che nel 2050 potranno esserci milioni di morti per infezioni banali». Maria Pia Risa Fonte “La Sicilia” del 04-01-2020