Ha preso il via dalla denuncia di un imprenditore agricolo e sindacalista Uil della zona a cavallo tra il Messinese e il Catanese l’inchiesta dei carabinieri di Taormina sfociata ieri nel blitz “Fiori di pesco”. Dodici gli arresti tra affiliati e spacciatori del clan Brunetto, che dal 2012 al 2014 avrebbero imposto il pizzo alle attività agricole della Valle dell’Alcantara e spacciato marijuana e
altre sostanze a Taormina e dintorni, per contro dei Brunetto. In carcere sono finiti Antonio Monforte, 50 anni di Castiglione di Sicilia, Alfio Di Bella, 53 anni di Catania, Vincenzo Lo Monaco, 47 anni di Castiglione di Sicilia, Carmelo Oliveri, 50 anni di Acireale. Il giudice ha invece concesso i domiciliari a Salvatore Coco, 57 anni di Fiumefreddo, e Giuseppe Lombardo Pontillo, 30 anni di Bronte. Altre quattro persone sono state ammanettate tra Taormina, Francavilla di Sicilia e Malvagna. L’episodio che ha dato via all’inchiesta, il furto di due mezzi ai danni del sindacalista, titolare dell’azienda Le Tre Terre di Mojo, risale all’ottobre 2012. Non si trattò di un episodio isolato. A catena, nei mesi seguenti, proprietari terrieri e altri imprenditori agricoli denunciarono di essersi visti rubati i mezzi agricoli, incendiati i fondi, persino rubato le pregiate pesche dagli alberi. A tutti si erano stati fatti arrivare chiari messaggi estorsivi, prima anonimi poi tramite vecchie conoscenze che si erano offerte di “mettere a posto” la vicenda. La richiesta, in tutti i casi, era di denaro per il clan, da 4mila a 6mila euro, da versare in occasione delle feste comandate. Dietro tutto, hanno scoperto i carabinieri, c’era la longa manus di Paolo Brunetto, il padrino del clan scomparso nel 2013. Anche nei mesi successivi i suoi uomini di Castiglione e dintorni hanno continuato a reggere gli affari. “Dice che sono incazzati neri e gli devi dare i soldi”. Così, alla fine del 2013, si è sentito rispondere un imprenditore agricolo di Fondachelli Fantina che ha affari anche tra Castiglione e Francavilla, dagli “amici degli amici” che si erano presentati dopo che l’uomo aveva subito un furto di mezzi e un incendio. Mentre qualche mese prima un altro imprenditore di Castiglione era stato costretto a cedere un terreno di sua proprietà, perché non era riuscito a pagare il pizzo al clan. Il fondo di contrada Baronessa era passato di mano nel maggio 2013. Proprietario era un allevatore che era venuto a patti con i Brunetto, consentendo agli animali di uno del clan di pascolare all’interno. Quando l’allevatore era arrivato con il pascolo, però, aveva trovato anche le giumente del proprietario del fondo. La cosa non era piaciuta a Paolo Brunetto il quale telefonò al proprietario del fondo per redarguirlo. All’inizio il malcapitato cercò di opporsi, affermando che aveva acconsentito al pascolo, ma che le sue giumente non si sarebbero mai spostate di lì. Poi Brunetto lo convocò e dall’incontro il proprietario uscì di tutt’altro avviso, affermando che avrebbe lasciato loro “anche i soldi da contare”.
ALESSANDRA SERIO Fonte “La Sicilia” del 19-11-2017