«Non è possibile mettere sullo stesso piano i possibili diritti di chi ha ucciso, con la sicurezza dei cittadini onesti. Il sistema giudiziario non può essere lassista. No ai giustizialismi, ma certamente dobbiamo tutelare civiltà e legalità». Sono le parole del procuratore aggiunto della Repubblica, presso il Tribunale di Catania, Sebastiano Ardita, ospite dell’istituto “Benedetto Radice” di Bronte all’interno di un convegno particolarmente interessante, durante il quale il magistrato si è rivolto ai ragazzi parlando di mafia e di regimi carcerari. «Questo convegno –ha affermato la dirigente dell’istituto, Maria Pia Calanna, in apertura –è parte integrante di una collana di incontri organizzati dal questo Istituto con i magistrati con l’intento di divulgare la cultura della legalità. Il dott. Ardita con i suoi libri intende dare una scossa alla Società civile, affinché si difendano i diritti. Ringrazio la professoressa Vincenza Rapisarda per aver coordinato i lavori di questo convegno».
Presenti all’incontro l’avvocato Maria Mirenda, presidente dell’associazione avvocati di Bronte, il vice Questore della Polizia di Stato, Paolo Leone, dirigente del Commissariato di Adrano. Con loro gli avvocati Nunzio e Graziano Calanna. «Negli Anni 80 –ha affermato Ardita – qualcuno diceva che la mafia non esisteva. Poi negli Anni 90 il fenomeno è scoppiato in tutta la sua drammaticità con le stragi di Falcone e Borsellino. Lo Stato ha reagito irrobustendo azione e pene. Fu istituito il 41 bis, ovvero il regime di isolamento, per impedire ai mafiosi di dare ordini dal carcere. Un regime che infligge un duro colpo alla mafia. Attraverso il carcere duro si è garantita sicurezza». E sull’ergastolo e il 41 bis si è sviluppato un interessante dibattito: «Abbiamo l’esempio di un ergastolano autore di 6 omicidi cui è stata ridotta la pena a 26 anni. Uscendo ha riorganizzato la cellula mafiosa. Questo è l’esempio del fallimento dello Stato che non riesce a difendere i cittadini». Fonte “La Sicilia” del 28-04-2023