La notizia è di quelle che fanno tremare i polsi: 175 dipendenti del gruppo imprenditoriale tessile che riunisce 5 aziende tessili di Bronte, fra cui la famosa e storica “Bronte Jeans”, alla fine di agosto saranno messi in mobilità, ovvero quella specie di purgatorio dove i lavoratori transitano prima del definitivo licenziamento. Per i prossimi due anni ancora i lavoratori percepiranno l’80% dello stipendio: poi, se non avranno trovato una nuova occupazione, sarà la fine. Un dramma di natura economico – industriale, visto che a chiudere potrebbe essere la più importante azienda dell’intero Polo tessile di Bronte, anche dal punto di vista occupazionale e sociale, visto che in una cittadina di meno di 20 mila abitanti di colpo vengono a mancare 175 stipendi, ai quali si potrebbero aggiungere almeno altri 150 possibili licenziamenti nell’indotto. Ad annunciare la notizia è stata la Cgil e purtroppo il vertice aziendale lo ha confermato. “A fine mese – afferma Mario Catania che è socio dell’azienda – chiederemo la mobilità per i nostri lavoratori. Al momento, infatti, non c’è lavoro e, nonostante ci stiamo battendo con ogni mezzo ( e continueremo a farlo in futuro) per non chiudere l’azienda, non abbiamo nuovi contratti per nuove commesse e quei pochi che ci sono rimasti non bastano a mantenere in vita l’azienda”. Catania ci spiega che il passo è forzato. “Come sapete bene – racconta – la crisi ha radici lontane e già i nostri dipendenti hanno usufruito di tutte le forme di cassa integrazione previste dalla legge. Adesso il passo è forzato: o si riprende subito a lavorare, e non ci sono gli elementi per falro, oppure siamo obbligati a mettere i lavoratori in mobilità, nella speranza che nei 45 giorni successivi alla richiesta qualcosa cambi”. Ed in verità la speranza che qualcosa cambi esiste, anche se oggi sembra remota. “L’unica speranza è legata – aggiunge Mario Catania – al marchio “Jacob Cohen”, che è l’unico che non de localizza il lavoro”. C’è poi la battaglia vinta in tribunale con la Diesel di Renzo Rosso e si attende che il Ctu (Consulente tecnico d’ufficio) nominato dal giudice stabilisca l’ammontare delle commesse che Diesel deve restituire alla Bronte jeans. “I vertici delle società – conclude Mario Catania – si stanno adoperando per individuare soluzioni alternative ai licenziamenti. Non staremo con le mani in mano”. Ma per le organizzazioni sindacali i problemi stanno a monte e sembrano irrisolvibili. “La crisi è caratterizzata da un crescente decentramento all’estero delle produzioni di importanti marchi, come Benetton, Diesel e altri, – affermano Giuseppe D’Aquila, segretario della Filctem Cgil di Catania, e Gino Mavica che, in qualità di responsabile di zona della Cgil, segue il problema da vicino – . E’ chiaro ed evidente che la delocalizzazione a basso costo nel settore tessile continua ad averla vinta, alla faccia del tanto riportato Made in Italy tutti i grandi marchi italiani. Questi ultimi, se non costretti attraverso una legge dello Stato a mantenere almeno parte delle loro produzioni in Italia, continueranno su questa strada. Ci limiteremo – continuano – ad attaccare etichette italiane a prodotti manufatti in Turchia, Ucraina, Egitto, Bangladesh, Romania”. Per questo il sindacato sollecita l’intervento delle Istituzioni locali e regionali e sostiene di essersi già attivato con le segreterie nazionali per aprire un tavolo al ministero dello Sviluppo economico”. Per capire il dramma dei lavoratori basta parlare con qualcuno di loro. “Questa notizia ha provocato un allarme generale – spiega la signora Silvana Costanzo -. Eravamo a conoscenza delle difficoltà dell’impresa, ma la nostra speranza era quella di una possibile ripresa a settembre. Non potete immaginare quante telefonate di colleghe ho ricevuto e tutte dello stesso tenore. Io ho 31 anni ma, nonostante l’età, non credo riuscirò a trovare lavoro. Bronte al momento non offre molto”. La Bronte jeans è un po’ la storia moderna del tessile a Bronte. Entrò in produzione il 17 febbraio del 1977. Produceva il famoso jeans a 5 tasche della Americanino. L’azienda si chiamava “Nucifora” ed aveva appena 15 operaie. Piano piano si è ingrandita realizzando anche vestiario per la montagna e pantaloni semi classici della Marzotto. Negli anni 90’ è cominciato il periodo d’oro quando una buona parte dei jeans Lewis si producevano all’ombra dell’Etna. In quel periodo solo il gruppo aziendale della “Bronte jeans” riusciva a produrre anche 10 mila capi al giorno per Lewis, Armani, Benetton, Diesel e Zegna. Nel 2001 è scoppiata la crisi che oggi rischia di farla sparire definitivamente.
I NUMERI
175 Dipendenti, 144 dei quali donne. Problemi economici si prospettano anche per l’indotto che coinvolge altri 150 lavoratori.
35 Anni. Bronte jeans opera nel settore da 35 anni.
5 Aziende. Il gruppo è composto da 5 aziende: Bronte jeans (56 dipendenti), Rosso nero confezioni (46), L.S. Moda (29), Artigianato tessile (33) e Gte (11).
IL SINDACO: “FORSE CI SIAMO FOSSILIZZATI SOLO CON I JEANS
E’ amareggiato e preoccupato per i suoi cittadini e per l’economia brontese il sindaco Pino Firrarello: “Io so – afferma – che Bronte è il paese maggiormente penalizzato dalla crisi. Nessun altro paese di 20.000 abitanti, in tutto il territorio nazionale, ha dovuto fare fronte alla perdita di oltre 600 posti di lavoro in così poco tempo. Tanti erano, infatti, i lavoratori impegnati nel tessile prima del calo delle commesse. Ritengo che la crisi del Polo tessile a Bronte sia paragonabile ad una ipotetica chiusura della Fiat a Torino. Immaginate i risvolti sociali, ed il dramma per tante famiglie che, con lo stipendio, pagavano i mutui delle proprie case. Al dramma sociale – continua – si aggiunge anche il rischio della fine di una cultura imprenditoriale. A Bronte la gente ormai aveva radicato la mentalità di lavorare quotidianamente per produrre, senza considerare che finisce una realtà tessile che ormai durava da oltre 50 anni. Conosco famiglie che lavoravano nel tessile da 3 generazioni.Bisogna cambiare qualcosa. In Sicilia stessa, infatti, ci sono imprenditori che sono arrivati 30 anni dopo rispetto ad altri e si trovano all’apice della produttività. Forse ci siamo fossilizzati con i Jeans, mentre dovremo guardare altrove. Spero – conclude – in un rilancio del settore a salvaguardia dell’economia brontese e dei posti di lavoro”.
Gaetano Guidotto Fonte “La Sicilia” del 09-08-2013
IL PRECEDENTE DI RIESI SPERANZA TRADITA PER 300 LAVORATORI
Prima di Bronte un’altra realtà economica locale, il Polo Tessile di Riesi, era nata con grandi speranze per poi chiudere mestamente i battenti. Un’occasione di rilancio per l’economia locale, creazione di posti di lavoro, possibilità di sviluppo per un territorio tra i più “problematici” della Sicilia. Sembrava tutto questo la creazione del Polo tessile di Riesi, l’insieme di aziende produttrici di prodotti di maglieria creato nel 1999 da un’ intuizione dell’imprenditore Pietro Capizzi, originario proprio del piccolo centro della provincia nissena. Un’avventura iniziata nel migliore dei modi, Con tante persone del luogo impiegate, con circa 300 posti di lavoro creati tra diretto e indotto, un’attività sana nel bel mezzo del territorio in cui spadroneggiavano le cosche di Cosa nostra ed i clan rivali della Stidda, che fino al ’98 avevano dato vita a sanguinose guerre di mafia per il controllo di attività illegali quali spaccio di stupefacenti ed estorsioni ad imprese e commercianti. Il Polo Tessile sembrava l’isola felice dell’economia locale, poi nel 2002 scoppia il bubbone: dai controlli della Guardia di Finanza emerge un “buco” di 26 milioni di euro – praticamente i contributi concessi dagli enti pubblici che secondo l’accusa non sarebbero stati utilizzati per l’espletamento delle attività aziendali – nella contabilità delle ditte del Polo Tessile e cominciano ad emergere presunte irregolarità nella gestione del complesso aziendale: sembra addirittura che alcune aziende non avessero mai realmente operato pur risultando regolarmente attive. Inoltre alcuni impiegati assunti per lavorare in determinate attività avrebbero lavorate per altre. Vengono incriminate una ventina di persone – a partire proprio da Pietro Capizzi – chiamate a rispondere a vario titolo di appropriazione indebita di fondi statali, truffa,malversazione, falso e bancarotta. Il Polo Tessile cesserà la propria attività nel 2004 ed è di pochi mesi fa la notizia che agli ex operai non verranno riconosciuti gli ammortizzatori sociali nel caso specifico la cassa integrazione, per il 2013. Intanto, però, i processi non si sono ancora conclusi: se per il reato di bancarotta Pietro Capizzi ha già patteggiato la pena nel 2010 a 4 anni e 8 mesi, sia lui che altri soggetti coinvolti nel crac finanziario del Polo Tessile sono tutt’ora imputati in altri due processi, pendenti in secondo grado davanti alla Corte d’Appello di Caltanissetta per le altre accuse.
Vincenzo Pane Fonte “La Sicilia” del 09-08-2013