A trent’ anni Salvatore Grigoli è uno di quei giovani che ingrossano le statistiche del ritorno alla terra delle nuove generazioni. Ha studiato Agraria a Catania con specializzazione in Agricoltura biologica in Germania – “tanta teoria e tantissime ricerche” dice -, poi è tornato a Bronte, città dove è nato e, dopo aver rilevato l’azienda agricola di famiglia, si è messo a coltivare il suo pezzo di terreno. “Faccio crescere pistacchio, olive e ficodindia”, racconta Salvatore che coltiva secondo i criteri dell’agricoltura naturale e la vendita diretta. “E’ l’unica scelta di sostenibilità”, ammette dal suo stand di “Fà la cosa giusta”, all’interno dello spazio dell’Arcipelago Siqillyah” che aggrega produttori “diversamente siculi”, nella fattispecie agricoltori che preferiscono una diversa distribuzione per i frutti del loro lavoro. “Tornato in campo ho deciso di tornare all’agricoltura naturale – racconta – che è qualcosa di cui in molti parlano, ma che di fatto le istituzioni tendono a ignorare”. Il motivo è semplice, secondo Grigoli, “C’è molta distanza tra la ricerca accademica e l’esperienza sul campo. Le prerogative che muovono il contadino sono diverse da quelle che animano il ricercatore: chi coltiva vuole una soluzione pratica al problema, chi studia analizza le origini del fenomeno mettendo la soluzione soltanto all’ultimo posto delle sue priorità. Così le ricerche rimangono lettera morta”, continua l’agricoltore. Di ricerca e di soluzioni pratiche, probabilmente, ce ne sarebbe bisogno anche nella coltivazione del pistacchio. “Non ne parla ancora nessuno, ma c’è una spada di Damocle che incombe sulla produzione di pistacchio a Bronte: si chiama Megastigmus Pistaciae. E’ un insetto che col suo pungiglione va a deporre il suo uovo dentro il pistacchio impedendo la crescita del frutto e può portare al 90% di perdita nella produzione”. A far diventare l’insetto una possibile piaga, però, è stato l’uomo. “Il megastigmus è un insetto conosciuto da sempre – spiega Salvatore – che però non ha mai creato danni irreparabili, perché nell’anno di riposo della raccolta la sua popolazione si riduceva naturalmente visto che non c’erano frutti dentro i quali deporre le uova”. A scombinare i piani di mamma natura, però, è arrivato l’uomo e – in questo caso – il boom di richieste di pistacchio. Quella raccolta biennale e armonizzata tra tutti i coltivatori del territorio che metteva al riparo dai danni da megastigmus è stata rivoluzionata da chi ha deciso di forzare la produzione attraverso l’uso massiccio della chimica per raccogliere ogni anno, e di sfalsare la raccolta per avere prodotto ogni stagione. “C’è stato chi ha cominciato a parlare di “superstizione” ed è andato contro a regole biologiche seguite da anni”, si rammarica Grigoli con il risultato che, oggi, il megastigmus fa paura. “A preoccupare è il raccolto di settembre. Questo è l’anno in cui la maggior parte dei coltivatori, compreso me, che continuo a togliere le gemme per far rinforzare le piante, raccolgono. Ma la colonia di megastigmus che ha avuto altri frutti di cui nutrirsi è molto popolata – spiega -. Questo mette a rischio il raccolto perché molti dei gusci potrebbero essere vuoti”.
Mariella Caruso Fonte “La Sicilia” del 15-03-2015