Sono passati 159 anni, ma il ricordo di uno dei tanti reati che il nord ha perpetrato al sud è ancora vivo e presente. Una storia rimasta all’oscuro per anni, sulla quale ha scritto una novella Verga (Libertà) che ha ispirato il regista Florestano Vancini a girare un film nel 1971, con la realtà storica dei Fatti di Bronte. Una repressione passata come giustizia, un racconto stile gattopardo (cambiare tutto per non cambiare nulla) in cui alla fine i cattivi passano per i buoni, e i buoni vengono fucilati come cattivi. Piazza San Vito porta ancora i segni di quel massacro, targhe e monumenti raccontano di un episodio rimasto per troppi anni all’oscuro.
I fatti narrano che quando Garibaldi sbarcò a Marsala, promise ai Siciliani che le terre di proprietà dei latifondisti sarebbero passate ai poveri, questo per fare in modo che in tanti si unissero alla sua spedizione dei Mille. A Bronte, il 2 agosto 1860, una grande rivolta, proprio contro i grandi padroni, portò alla distruzione di alcune case, date alle fiamme, così come il teatro e l’archivio comunale. Quindi cominciò una caccia all’uomo e ben sedici furono i morti tra nobili, ufficiali e civili, tra cui anche il barone del paese con la moglie e i figlioletti, il notaio e il prete, prima che la rivolta si placasse. Avvisato dei fatti, Garibaldi invio a Bronte un battaglione comandato dal suo braccio destro Nino Bixio, per sedare la rivolta e fare giustizia. Quando Bixio cominciò la propria inchiesta sui fatti accaduti una larga parte dei responsabili era fuggita altrove, mentre alcuni ufficiali colsero l’occasione per accusare gli avversari politici.
Il tribunale misto di guerra, in un frettoloso processo durato meno di quattro ore, giudicò ben 150 persone e condannò alla pena capitale l’avvocato Nicolò Lombardo (che, acclamato sindaco dopo l’eccidio, venne additato come capo della rivolta), insieme con altre quattro persone: Nunzio Ciraldo Fraiunco, Nunzio Longi Longhitano, Nunzio Nunno Spitaleri e Nunzio Samperi. La sentenza venne eseguita mediante fucilazione l’alba successiva: per ammonizione, i cadaveri furono lasciati esposti al pubblico insepolti. All’alba del 10 agosto, i condannati vennero portati nella piazzetta antistante il convento di Santo Vito e collocati dinanzi al plotone d’esecuzione. Alla scarica di fucileria morirono tutti ma nessun soldato ebbe la forza di sparare a Fraiunco che risultò incolume. Il poveretto, nell’illusione che la Madonna Addolorata lo avesse miracolato, si inginocchiò piangendo ai piedi di Bixio invocando la vita. Ricevette una palla di piombo in testa e così morì, colpevole solo di aver suonato una trombetta di latta.
Oggi, anniversario di un fatto storico di grande rilievo, vogliamo ricordare, così come ha fatto il brontese Antonio Caraci, un capitolo di storia che andrebbe approfondito e insegnato nelle scuole brontesi, visto che spesso, è dimenticato da tutti. E sarebbe bello, anche oggi, portare un fiore su quelle lapidi, perché, pur non sapendo se effettivamente colpevoli o no, gli uomini morti durante i fatti di Bronte, involontariamente sono parte attiva di una storia fatta di battaglie e azioni che avrebbero dovuto portare un futuro migliore ma soprattutto la Libertà. Luigi Saitta