Lascia l’auto in divieto di sosta e quando torna trova la multa. Invece di riflettere sull’infrazione al codice della strada commesso, decide di inveire su Facebook contro le 2 ausiliarie del traffico che avevano elevato la sanzione amministrativa, ingiuriandole con frasi sessiste. Il post sul social network, tra l’altro palesemente carente di regole grammaticali, non è passato inosservato e l’uomo sta per essere deferito alle autorità giudiziarie dal Comando della polizia municipale brontese. L’accusa ipotizzata è diffamazione a mezzo stampa. Rischia una condanna che può andate dai 6 mesi ai 3 anni di reclusione o una sanzione che non può essere inferiore a 516 euro. Protagonista, ovviamente in negativo, un brontese di 22 anni. La vicenda è accaduta mercoledì 22. Il giovane, recandosi in banca, intorno alle 12,30 ha lasciato l’auto in piazza Spedalieri in divieto di sosta. Al ritorno la sgradita sorpresa: una multa di 41 euro che, se pagata entro 5 giorni, sarebbe stata ridotta a 28,70 euro. L’episodio lo ha fatto così tanto infuriare che ha impugnato il suo smartphone e ha scaricato la sua rabbia su facebook, scrivendo un post con frasi incriminate contro le 2 ausiliarie del traffico. In poco tempo sono stati in tanti a vedere il messaggio, compreso il comandante della polizia municipale di Bronte, Piero Viola, che ha convocato il giovane e, dopo averlo ascoltato, gli ha comunicato che lo avrebbe denunciato alla magistratura. «Massima solidarietà alle 2 ausiliarie del traffico – ha commentato il sindaco Graziano Calanna – e a tutto il Corpo della polizia municipale. Offenderle perché sono state ligie al loro dovere è un atto grave. È arrivato il momento di capire che la Sicilia dei furbissimi, di coloro che posteggiano in divieto o in doppia fila, di chi scarica rifiuti abusivamente o di chi è protagonista di atti vandalici non cresce e rimarrà sempre ultima nelle classifiche della qualità della vita». Del resto anche la Cassazione si è espressa duramente riguardo alle offese su Facebook o attraverso altri social network. Sono, infatti, ormai moltissimi i casi di persone che, dietro un monitor o uno smartphone, si sentono libere di dare sfogo a modi incivili e spesso gratuiti. E’ stata la Corte di Cassazione, infatti, a ritenere applicabile in questi casi l’articolo 595 del codice penale. Fonte “La Sicilia” del 30-11-2017