Ci sono 600 persone, tra operai e impiegati, che da due mesi non dormono più la notte perché temono di ritrovarsi d’improvviso senza lavoro; ci sono le loro famiglie, con le necessità piccole e grandi che la quotidianità impone, angosciate dal terrore di non avere più di che vivere; ci sono 13 aziende che da decenni danno un’occupazione a questi lavoratori e che nel giro d’un paio di settimane si sono ritrovate con un taglio di commesse che sfiora il 70%, vedendosi quindi costrette a rallentare se non addirittura a fermare le macchine; ci sono 200 persone che lavorano nell’indotto che con le loro famiglie vivono lo stesso dramma. Tutto questo accade a Bronte, piccola «capitale» dell’hinterland etneo incastonata tra il vulcano e i Nebrodi, che dista 50 chilometri da Catania che vede vacillare il suo equilibrio economico. Il comparto è quello tessile. Il segmento quello della produzione dei jeans. «E non capi d’abbigliamento qualunque – spiegano gli imprenditori interessati –. Stiamo parlando di merce con un target medio-alto. Capi il cui prezzo al dettaglio oscilla tra i 100-150 euro al paio, fino a toccare i 300-400 euro». L’azienda leader per spessore tecnico e numero di addetti è la «Bronte Jeans» della famiglia Catania: occupa circa 350 tra operai e impiegati ed è dotata di macchinari e attrezzature all’avanguardia, che ne fanno una delle imprese tessili più moderne e sicure d’Europa. Attorno alla «Bronte Jeans», nella nuova Zona artigianale del paese, operano altre 12 fabbriche, che danno lavoro ad altre 300 persone, con un giro d’affari che tocca i 13 milioni di euro all’anno. L’intero polo di Bronte da anni produce soprattutto per la Diesel di Renzo Rosso, il «mago» del jeans, che dopo aver scalzato la Levi’s dal panorama internazionale è diventato il numero uno per la distribuzione e la vendita di quei pantaloni da lavoro confezionati con un tessuto chiamato «denim» che vide la luce a Genova nel XV secolo, e che oggi è diventato un capo vestiario di uso comune. «A settembre – racconta Franco Catania che dirige l’azienda di famiglia con i fratelli e il cugino – abbiamo incontrato i vertici della Diesel che ci hanno esternato le loro preoccupazioni alla luce di un calo delle vendite che, in proiezione, doveva aggirarsi intorno al 30%. In realtà, da gennaio, ci siamo visti tagliare commesse per il 70%. Risultato: immediato rallentamento della produzione, fino al fermo dello stesso ciclo. Oggi siamo in attesa di un chiarimento con i vertici della holding di Bassano del Grappa». Più amari i toni di Giuseppe Marino, titolare dell’omonima ditta che occupa 50 persone: «A quanto ci risulta – dice –, il calo delle vendite sbandierato dalla Diesel non c’è stato. Nel 2008, la holding veneta ha fatturato un buon 3,3% in più rispetto all’anno precedente. Forse ci si dovrebbe chiedere perché il gruppo di Renzo Rosso stia incrementando la produzione di jeans e altri capi d’abbigliamento in Marocco e in Tunisia. Certo, la differenza del costo di produzione c’è: in Africa un paio di jeans costa 2,40 euro; da noi 5-6 euro. Ma la qualità è la stessa? Certo che no. E siamo sicuri che quei capi prodotti fuori del nostro Paese non vengano poi smerciati in giro per il mondo con il marchio Made in Italy?». «Non so quali siano i numeri del crollo delle vendite a livello internazionale – fa eco a sua volta Basilio Barbagallo, uno dei primi imprenditori di Bronte ad aver investito negli anni Settanta sul jeans e grande amico personale di Renzo Rosso –. Quello che ci sta sconvolgendo sono le proporzioni che si ripercuotono sul nostro lavoro: avere un 70% di commesse in meno significa tenere a casa per giorni decine di operai. Ci stiamo adoperando con i sindacati, l’Ufficio provinciale del lavoro, la Prefettura di Catania e la Regione per attivare una serie di ammortizzatori sociali che possano essere da sostegno in questa fase. Ma è ovvio che tutto questo non potrà durare a lungo». «D’improvviso – dicono in coro Francesco Basile e Antonella Avellina, l’uno operaio e l’altra impiegata amministrativa nella ditta di Barbagallo – non sappiamo più come arrivare a fine mese. Ci sono i bambini con le loro necessità, il mutuo da pagare, le bollette: se non lavori, tutto salta. La tua vita va in malora assieme a quella della tua famiglia». «Tutto sta – spiega a sua volta Vincenzo D’Amico, responsabile tecnico alla Bronte Jeans – nel rispetto del marchio Made in Italy. Il governo parla tanto, ma cosa si fa per fermare la fuga degli imprenditori all’estero? E per salvaguardare le regole della competitività? Da noi si è investito a 360 gradi: la lavanderia ha un depuratore in grado di servire un centro urbano come Bronte. E questo per garantire il rispetto dell’ambiente. Ma quando poi il prodotto che esce da questa fabbrica deve confrontarsi con quelli che arrivano dalla Cina o dalla Tunisia, dove non c’è rispetto alcuno per i dettami di sicurezza, allora ti rendi conto le regole alle quali devi attenerti in realtà sono state trasformate nella zavorra che ti sta trascinando sul fondo».
Bronte. Quella del tessile di Bronte è una storia di coraggio, determinazione e voglia di scommettersi da parte di alcuni imprenditori che, tra gli anni 60 e gli anni 70, iniziarono a produrre capi di abbigliamento senza immaginare mai il boom economico che l’intero comparto avrebbe ottenuto negli anni 90, ma neanche la crisi che oggi rischia di comprometterlo. Il capostipite fu Nunzio Spata, un abile sarto brontese che alla fine degli anni 60, forte delle esperienze fatte in Francia, cominciò produrre capi di abbigliamento con un marchio proprio ed anche pantaloni per conto terzi. Ma non solo, quella prima esperienza di azienda fu in grado di produrre anche capi per la Chicco, dando lavoro a circa 50 operaie. Spata fece scuola e subito dopo sorsero altre due aziende, quella di Gaetano Bertino e Antonio Schilirò che nel 1971 riuscì pure produrre capi per un suo marchio, chiamato “Emilio Rizzi Ferrini”. Tutti e tre davano da lavoro a circa 120 persone. Nel 1973 nacque la “Sab confezioni”, fondata dagli imprenditori Schilirò, Agati e Barbagallo: produceva pantaloni semi classici per conto della “Jesus” che nel 1978 propose loro di confezionare jeans: «Fu l’allora proprietario della “Jesus” Maurizio Vitale a propormi l’idea. – racconta Barbagallo – Ma i miei soci non credettero all’iniziativa. Così io ho deciso di proseguire da solo realizzando una fabbrica tutta mia che per tanti anni ha prodotto moltissimi jeans Jesus». La storia del settore tessile di Bronte, però ha una data da ricordare, ovvero il 17 febbraio del 1977. Producendo il famoso jeans a 5 tasche della Americanino entrò nel mondo manifatturiero, infatti, l’imprenditore Franco Catania. L’azienda si chiamava “Nucifora” ed aveva appena 15 operaie. Oggi si chiama “Bronte jeans” ed è leader in Europa. «Pian piano ci siamo ingranditi – afferma Catania – realizzando anche vestiario per la montagna e pantaloni semi classici della Marzotto. Con il passare del tempo altre grandi firme cominciarono a chiedere la nostra manodopera, sempre più qualificata e professionale, fino a lavorare negli primi anni 80 con Armani, con Coveri e altri». E’ il periodo d’oro che impose a tutte le aziende faconiste brontesi, che nel frattempo erano sorte, investimenti ed aggiornamenti. Solo Franco Catania riceveva un così cospicuo numero di commesse che gli consentiva di dare lavoro agli altri colleghi ed aprire laboratori nei paesi vicini. Siamo ai primi anni 90, quando a Bronte operavano ben 20 aziende tessili. «Anche la Lewis – continua Catania – produsse jeans a Bronte per circa 6 anni. Poi nel 2001 decise di andar via. In quel periodo solo il nostro gruppo aziendale riusciva a produrre anche 10 mila capi al giorno producendo per Lewis, Armani, Benetton, Diesel e Zegna e dando da lavorare a circa 400 operai». Quello forse fu il momento più florido, perché oggi il numero delle aziende è sceso a 12. Dopo il 2001, infatti, iniziarono a sentirsi con maggiore insistenza i venti negativi della globalizzazione. La Lewis andò via, ed allora fu Renzo Rosso con la sua “Diesel” a dare respiro alle imprese tessili brontesi, dando lavoro e convincendo la Bronte Jeans ad investire per completare il ciclo produttivo anche con la lavanderia e la stireria. Certo i numeri di un tempo non ci sono più. Il gruppo Bronte jeans oggi ha 300 dipendenti ed una produzione di 4.000 capi giornalieri. Le altre aziende più piccole si mantengono sui 700, ma è aumentata la professionalità delle maestranze capaci di creare il vero Made in Italy. E’storia recente, inoltre la nascita del distretto tessile “Sicilia orientale”. Tutto ciò ha fatto pensare che mai la crisi potesse adombrare Bronte. Oggi invece gli operai di diverse aziende sono in stato di agitazione e minacciano manifestazioni di protesta.
ALCUNI NUMERI:
13 MILONI DI EURO Il fatturato annuo del polo tessile di Bronte fino allo scoppio della crisi economica internazionale che ha investito anche questa realtà siciliana.
7 EURO il costo di un Jeans alla Produzione
400 Euro il costo al dettaglio dello stesso Jeans
Articoli di Alfio Di Marco e Gaetano Guidotto, fonte “La Sicilia” del 03-03-2009