Due parole spiegano più di tutte la raccolta del pistacchio verde di Bronte dop: tempo e fatica. Il pistacchio, infatti, si è adattato fra le irte e scoscese lave dell’Etna e questo rende impossibile ogni tipo di meccanizzazione. La soluzione quindi è fare esattamente come si faceva 100 anni fa, ovvero impiegare un’ingente manodopera che raccoglie ancora a mano il pistacchio dalle piante. Ci vuole tempo per completare la raccolta di un ettaro di pistacchieto, con gli operai che fanno cadere il pistacchio dalla pianta in appositi contenitori, iniziando una vera e propria sfida con la resina che si libera dalla pianta e che rende l’operazione tutt’altro che agevole. E se pensiamo che su un terreno irto e spigoloso poi bisognerà trasportare quintali di pistacchio, la fatica è assicurata. Subito dopo la raccolta il pistacchio viene “sgrollato”, ovvero viene tolto il mallo. Si tratta dell’involucro color bianco avorio, coriaceo che lo ricopre. Si ottiene così il pistacchio in guscio, a Bronte chiamato Tignosella. La Tignosella successivamente va essiccata per ridurre la percentuale di umidità fino al 4%, impedendo la formazione di microrganismi.
I grandi produttori ormai utilizzano sofisticatissimi forni, ma la maggior parte dei produttori lascia ancora il pistacchio ad essiccare al sole per 3 o 4 giorni in ampie terrazze davanti le case agricole ed incrocia le dita affinché il clima regga. Lavoro finito? No! Dal frutto sulla pianta bisogna ancora togliere il guscio e la pellicina che protegge il verde pistacchio. Alla fine il frutto verde smeraldo ripaga certamente i brontesi per la fatica profusa nella coltivazione e nella raccolta. “La raccolta è certamente faticosa. – spiega il sindaco di Bronte, Pino Firrarello – la coltivazione per fortuna è meno pesante, ma bisogna lavorarci continuamente per 2 anni facendo si che l’intero comparto garantisca tantissime giornate di lavoro”.