L’Asp, l’Azienda sanitaria provinciale, è stata condannata al risarcimento di 830 mila euro (164 mila ciascuno ai cinque figli che presentarono denuncia) per la morte della madre, una signora di 80 anni, di Bronte, deceduta l’11 novembre di cinque anni fa per un infarto del miocardio non riconosciuto e solo successivamente (con un ritardo di circa 14 ore) diagnosticato dai medici dell’ospedale di Bronte dove la donna era stata accompagnata per un malore. La sentenza definitiva, è stata emessa dal giudice unico della V Sezione Civile ddel Tribunale. Il 27 ottobre del 2012, alle 5.06, la signora veniva accompagnata con un’ambulanza del 118 all’ospedale Castiglione – Prestianni di Bronte per un riferito “attacco d’asma con dolore toracico”. Al suo arrivo la signora si presentava “cosciente, lievemente dispnoica”, (respirazione difficoltosa) con “MV aspro” (quando il suono del respiro non è più morbido, ovattato…). Nonostante il dolore toracico e l’aumento di alcuni valori di enzimi, come troponina e mioglobina, considerati markers bio-umorali di necrosi miocardica, i medici non furono sfiorati dal sospetto di un infarto al miocardio, tanto che non venne attivata la richiesta di una consulenza cardiologica. Dopo una decina di ore e l’insorgere di un arresto cardiaco, “l’illuminazione” e la decisione di predisporre in ambulanza il trasferimento, in una struttura specialistica, all’ospedale Garibaldi dove la donna giungeva in netto peggioramento tanto da essere ricoverata direttamente in Rianimazione alle 19.45 dello stesso 27 ottobre, circa quindici ore dopo il suo arrivo all’ospedale di Bronte, effettuati tutti i controlli e i relativi esami strumentali, “l’ecocardiogramma mostrava i segni di un vasto episodio infartuato con acinesia dell’apice e dei segmenti medi della parete inferiore e di quella antero – laterale, con contestuale grave compromissione della funzione sistolica”. Durante il decorso le condizioni della signora si mantenevano estremamente gravi senza che mai essa si risvegliasse dal coma, morendo per arresto cardiaco irreversibile alle 20,20 dell’11 Novembre. Ad assistere legalmente i cinque figli, lo studio legale “Seminara & Associati” con gli avvocati Dario Seminara e Lisa Gagliano. Così, nei quattro punti trattati, si è espresso nelle sue conclusioni il consulente tecnico d’ufficio: “La condotta posta in essere dai sanitari dell’ospedale di Bronte debba considerarsi omissiva per la mancata effettuazione di mirate indagini strumentali in grado di orientare la diagnosi; Al ritardo diagnostico è conseguita la mancata somministrazione delle terapie più idonee al trattamento dell’infarto miocardico acuto che comprometteva e affliggeva, privando la paziente di maggiori chances di sopravvivenza; la prestazione professionale erogata dai sanitari non può essere considerata di particolare difficoltà; durante la sua residua sopravvivenza la donna si è ritrovata in una condizione di totale inabilità, anch’essa correlata da diretto nesso di derivazione etiologica (ricerca) alla condotta omissiva posta dai sanitari del nosocomio brontese. Orazio Provini Fonte “La Sicilia” del 21-09-2017