Con riferimento all’articolo apparso venerdì 30 gennaio in un comunicato Fipe – Confcommercio Bronte con una nota a firma del suo presidente Nunzio Caraci afferma che “per prima cosa sentiamo forte l’obbligo di elogiare l’operato del Nas dei Carabinieri per avere messo in luce una situazione che, in svariate occasioni, è stata oggetto di discussione a Bronte da quando troppi furbetti decisero di diventare i paladini della produzione al pistacchio improvvisando iniziative che nulla hanno a che vedere con l’antica arte pasticcera brontese. È altrettanto indispensabile però, tutelare il buon nome e la qualità delle pasticcerie artigianali che portano come loro vessillo il migliore prodotto ricavato dalle piante di questo territorio. Ben vengano i controlli, che anzi, vorremmo fossero più frequenti, per garantire il consumatore e per fornire la testimonianza che tutte le pasticcerie di Bronte rispettano sia la fiducia riposta in loro dai propri clienti che i tanti piccoli produttori.Comunque, i pasticceri brontesi, attendendo il riconoscimento del marchio Igp per il pistacchio, stanno facendo in modo di essere artefici di una piccola rivoluzione. È allo studio, infatti, un metodo per garantire la qualità del prodotto e certificarne la provenienza non solo come prodotto finito ma soprattutto come materia prima, cercando di dotarsi di un disciplinare che regoli la produzione dei tanto amati prodotti al pistacchio”.
Con riferimento all’articolo apparso sulla prima pagina de La Sicilia del 30 gennaio con il titolo “Quel pistacchio veniva dall’Iran e forse era tossico”, pur non sminuendo la gravità di un fatto che, qualora accertato, risulterebbe intollerabile, appare opportuna qualche precisazione, finalizzata a ridimensionare la portata di alcune frasi ivi contenute. Invero, il giornalista esordisce asserendo che “non c’è più da fidarsi nemmeno dei dolci al pistacchio fatti a Bronte se consideriamo che proprio negli scorsi giorni … i Nas dei carabinieri hanno sequestrato a scopo cautelativo undici tonnellate di pistacchi sgusciati provenienti, non dalle falde dell’Etna, bensì dalle montagne del lontano Iran. E chi l’avrebbe mai immaginato…”. Al riguardo, ed evidenziando sin d’ora che, allo stato, non pare sussistano certezze sulla tossicità del prodotto né sulle responsabilità dell’Azienda coinvolta, è bene evidenziare che Bronte, come maggior centro siciliano di produzione e trasformazione del pistacchio, non si identifica con una o più aziende, ma con uno standard qualitativo oramai unanimemente riconosciuto ed apprezzato. In altri termini, se Bronte è, come viene definita nell’articolo, “la patria mondiale del pistacchio”, ciò è dovuto non solo all’estensione delle terre adibite alla coltivazione del frutto, ma anche, e soprattutto, ai sacrifici dei produttori, al valore intrinseco del prodotto ed alla serietà e competenza di chi lo trasforma, caratteristiche riconosciute, oltre che in tutto il territorio nazionale, anche all’estero. Pertanto, a voler tutto concedere, il fatto, ancora al vaglio della Autorità competenti, rappresenterebbe un episodio isolato, insufficiente, comunque, per inficiare la genuinità del pistacchio prodotto, trasformato e commercializzato in Bronte, né, in ogni caso, idoneo a buttare una pesante ombra su una realtà che non può e non deve essere penalizzata dall’eventuale atteggiamento sleale di una o poche aziende ivi operanti, poiché esse sono solamente un particolare del generale, una parte del tutto. Augurando, quindi, per il bene di tutti, un epilogo rasserenante della spiacevole vicenda, è auspicabile che il consumatore circoscriva l’accaduto a ciò che, allo stato, esso realmente è: una mera ipotesi di reato, presuntivamente commesso da una tra le tante aziende di commercializzazione del pistacchio operanti nel territorio di Bronte.
Graziano Calanna Presidente Centro Studi “N. Spedalieri” – Bronte
Fonte “La Sicilia” del 03-02-2009