Decorazioni dell’800, semplici e rassicuranti, rappresenterebbero lo spazio metafisico del «patto celeste» che aiutò i fedeli a risalire dal girone infernale dell’epilogo de «I Fatti di Bronte» del 1860, dove Nino Bixio li aveva precipitati. Nelle «Memorie storiche di Bronte», Benedetto Radice attesta che il «corpo della chiesa fu restaurato e decorato» nel 1873; gli orni, nel 1965, furono ricoperti; quest’anno, poi, il direttore dei lavori dell’attuale restauro, l’architetto Filippo Nasca, li ha riportati alla luce, datandoli all’800. Sul piazzale antistante la chiesa francescana di San Vito, il 10 agosto 1860, Nino Bixio “firmò”, a modo suo, l’atto del «Battesimo risorgimentale di Bronte», intingendo il pennino nel sangue indelebile di cinque liberali Brontesi, da lui ingiustamente condannati a morte e fucilati.
Soprattutto la comunità di quel popoloso quartiere, ogni volta che andava in questa chiesa, non poteva non rievocare, consapevolmente o meno, l’infausto evento; da ciò, la necessità di vivere una dimensione nuova, che dalle tenebre la traghettasse alla luce. La semplicità e la luminosità, dei colori di volte e archi, ravvivano lo spirito nell’osservatore, che così, dentro il tempio, si rigenera nella vita e, fuori dal tempio, va allontanando la morte. Il sagrato, chiaramente, è la terra di mezzo della speranza. Di questo abbiamo parlato con il professore Luigi Minio, sacerdote e psicoterapeuta, pioniere e decano degli psicologi siciliani, che ha commentato: «È plausibile che, seppur inconsciamente, si volesse rimuovere nei fedeli la memoria tetra di quei fatti luttuosi, con decorazioni che suscitassero stati d’animo più sereni e rassicuranti». Fonte GDS
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