Il filosofo americano Henry David Thoreau, esponente di spicco del Trascendentalismo, temeva fortemente di arrivare alla fine dei suoi giorni «scoprendo di non avere mai vissuto». Non corre certamente questo rischio Salvatore Di Bella, un nonnino brontese che compie oggi 94 anni e che tutti chiamano “Sam”. La sua vita, infatti, sembra un ripetersi di storie ed emozionanti avventure che potrebbero dare spunto alla sceneggiatura di più film, oltre ad essere di grande insegnamento per le nuove generazioni, perché straordinariamente attuali. E questo non solo perché Sam da giovane ha deciso di emigrare in Australia, dove, grazie alle sue grandi doti e qualità, è diventato milionario. E neanche perché ha visto con i suoi occhi le atrocità della Seconda guerra mondiale, rischiando la fucilazione e trovandosi a piazzale Loreto, quando i cadaveri di Mussolini e Claretta Petacci furono esposti. La sua vita è straordinaria perché descrive un positivo approccio alle difficoltà, un volere a tutti costi raggiungere la meta, uno scommettersi sempre senza arrendersi mai, dominando gli eventi. Questo è Sam, da sempre pervaso da un fuoco interiore che ancora oggi, nonostante non sia più un giovanotto, riscalda ancora. Pensate che a 94 anni, quando potrebbe riposarsi godendosi la meritata vecchiaia, insegna inglese a studenti ed adulti che gli chiedono aiuto: «Ho un mio metodo – spiega -. Metto in 3 colonne la stessa frase: in italiano, in inglese e poi la pronuncia. Diventa più facile». Ed ha pure deciso di rispolverare l’arte dello scrittore, per racchiudere in un diario da pubblicare a scopo di beneficenza i tanti episodi della sua vita. Si, il “Diario di Sam” che lui stesso chiama «Strano». Perché? Perché come lo stesso autore scrive, «il suo cervello è un vulcano in continua, inarrestabile eruzione con conseguenze imperscrutabili». Noi abbiamo deciso di correre il rischio e siamo andati a trovarlo nella sua casa di Bronte per conoscerlo e scoprire l’essenza del suo diario. Lo abbiamo trovato nel suo studio, accanto il suo inseparabile computer Mac Apple. Sam, infatti, da abile programmatore è uno dei fondatori del sito internet “Bronteinsieme”, preziosa testimonianza della storia e dell’immagine attuale di Bronte. Un sito che è uno scrigno di personaggi e vicende brontesi, formidabile collante digitale fra il passato ed il presente. «Con il computer – ci spiega – mi collego via Skype con i miei amici sparsi nel mondo». Nella sua stanza campeggiano le foto delle sue due figlie Sandra e Marilyn e dei nipoti che ci mostra anche in alcune foto più recenti conservate nel suo smartphone di ultimissima generazione che maneggia come un nativo digitale. Nella stanza una grandissima tv con cui segue e commenta le cronache politiche: «Oggi non siamo più in democrazia – ci dice – vige la chiacchierocrazia». Ci sono poi degli scacchi che sanno di prezioso: rappresentano un po l’icona della sua filosofia di vita. «Io amo – ci dice – la Sicilia, la sua cultura e le sue tradizioni. L’Etna per me è una calamita. Piansi appena la scorsi durante il primo viaggio di ritorno dall’Australia, ed ho lasciato mia moglie perché non voleva tornare qui ogni estate. Ma alla briscola – ribadisce – preferisco gli scacchi. Nella briscola sei condizionato dalla fortuna, negli scacchi sei tu a misurarti mossa dopo mossa con il tuo avversario». Gli chiediamo come mai il suo diminutivo è Sam che con Salvatore centra pochissimo. «Sam – risponde – me lo ha appioppato mia moglie Maria. In Australia il nome Salvatore non esiste. Esiste invece Salvatrice che chiamano Sally. Se mi avessero chiamato Sal sarebbe stato ridicolo perché femminile. E così mia moglie ha deciso di chiamarmi Sam». Poi parliamo de “Lo strano diario di Sam”, dove paragrafo dopo paragrafo l’autore racconta se stesso nelle sue avventure di vita vera, i suoi amori, i drammi della guerra, la vita in Australia e le sue opinioni politiche. «Quando arrivai in Australia – ci spiega – non spiccicavo una sola parola di inglese. Credevo che i miei amici fossero padroni della lingua. Poi mi resi conto di quanto pessima fosse la loro pronuncia. Io, invece, imparai andando al cinema, dove mi sforzavo di capire. La soddisfazione più grande fu quando un australiano mi disse che pensava che fossi nato lì». Il suo diario è un susseguirsi di emozioni, che diventano forti quando parla della guerra: «Sì – racconta -, ero a Modena. Cercavano di convincermi ad aderire al nuovo esercito di Mussolini che aveva costituito la Repubblica di Salò. Io rifiutai sostenendo di non volere rinnegare al mio originale giuramento. Non mi resi conto di avere accusato di tradimento il colonnello che mi stava di fonte e lui, livido dalla rabbia, disse che mi avrebbe fatto fucilare. Mi fece portare nell’ampio cortile della caserma vicino a un muro. Ero terribilmente confuso. Un gran numero di militari si schierarono, ma dopo mezz’ora mi riportarono in cella ed io cominciai a ridere senza potermi fermare. Si trattava di una risata isterica e quasi dolorosa: pensavo di essere diventato pazzo». Ma le tragedie della guerra facevano emergere umanità e generosità come quella del grande Beppe Milazzotto. «Io ero fuggito da un campo di raccolta di ex militari in Toscana e neanche mia zia mi aveva accolto, temendo la fucilazione Ero disperato. Ed a Milano Beppe, ovvero il centro d’accoglienza di tutti i brontesi, mi disse: “Tu rimani qui con me, ci divideremo il pane che ho”». Si trovò poi a piazzale Loreto in occasione di uno dei momenti più famosi della storia: «Vivevo ancora con Milazzotto. Appresi la notizia che Mussolini era stato catturato, ucciso e appeso per i piedi in una stazione di servizio di piazzale Loreto. Andai a vedere. La scena era infernale. Il corpo del Duce era appeso ai resti di una tettoia di una demolita stazione di servizio con ancora addosso un pastrano tedesco. Accanto al suo c’era pure il corpo della sua amante Clara Petacci, appesa anche lei per i piedi e con la veste fermata da un gancio un po’ al disopra delle ginocchia. La folla intorno sembrava impazzita. Ricordo un’anziana donna che, presa la pistola ad un partigiano, ha sparato tre colpi al corpo di Mussolini gridando i nomi dei suoi tre figli morti in guerra. Ricordo la camionetta sulla quale è arrivato Achille Starace. Indossava una tuta da ginnastica, aveva gli occhi fuori dalle orbite. Era spaventatissimo. L’hanno buttato giù dalla macchina e, mentre a terra lui cercava di attaccarsi alle gambe di un enorme partigiano, questi l’ha spinto con un calcio e gli ha scaricato addosso la sua mitraglietta. Per parecchi giorni avevo queste visioni di fronte ai miei occhi e trovavo difficile anche mangiare». I ricordi di Sam sono lucidi e le sue espressioni straordinariamente serene. Solo i ricordi più brutti lo intristiscono un po’, senza mai fargli perdere quella dolcezza che ci ha accolto fin dall’inizio. Un po’ sorridendo ci spiega perché, dopo la guerra, con tanto di laurea sulle spalle, decise di partire per l’Australia. «Neanche allora la laurea in Scienze politiche serviva granché – sottolinea -. Ma io andai in Australia per accontentare mia madre. Pensava, infatti, che se avessi imparato bene l’inglese, lo avrei potuto insegnare al Collegio Capizzi. Ma il posto fisso non mi ha mai allettato, ed io sono partito alla ricerca di avventura. Mi imbarcai con il mio amico Nunzio a Messina sulla nave Surriento. Avevamo prenotato i nostri posti in una cabina per 6 persone, ma non abbiamo mai potuto dormirci dentro perché gli altri quattro occupanti, forse calabresi, avevano nelle valigie chissà che cosa e la puzza di piedi e di formaggi in fermentazione, in quella cabina, era insopportabile. Il viaggio durò circa un mese e fu tremendo. Il cibo era immangiabile, ti faceva venire la voglia di digiunare per sempre». Diversi i modi, ma anche oggi i nostri cervelli, come quello di Sam, sono nuovamente costretti a fuggire dall’Italia. E visto l’attuale dibattito italiano sull’immigrazione, ci domandiamo che tipo di accoglienza allora ricevettero i nostri siciliani in cerca di fortuna: «Io in verità – ci risponde – dagli australiani sono stato accolto benissimo. Certo qualcuno ci guardava come degli invasori: temevano che ci saremmo presi tutto. Io in Australia feci tutti i mestieri possibili: l’imbianchino, il commesso in un negozio di frutta e verdura, l’operaio in fabbrica, costruii scatole di latta per il tabacco, modellai l’argilla, realizzai insegne luminose e vendetti pure lampade fluorescenti. Con i soldi guadagnati comprai una casa disastrata. La ristrutturai con l’aiuto di due italiani bravissimi che, visti gli ottimi risultati, mi proposero una società. Accettai e fu l’inizio. Ristrutturavamo le case degli italiani fino ad incontrare Fred Fitzpatrick, alto, ricco e distinto signore australiano che mi chiese consigli sull’acquisto di una sontuosa villa. Io non sapevo cosa dirgli, ma senza una vera cognizione gli consigliai di tirare sul prezzo richiesto. L’affare andò in porto ed io restaurai la sua villa. Fu per me la migliore propaganda, lui stesso mi procurò altri lavori. Fu un successo dopo l’altro, fino a quando un altro australiano cambiò nuovamente la mia vita. Era il direttore della banca “Anz” di Bondi beach. Mi aprì gli occhi: “Ti accontenti delle briciole”, mi disse. Io credevo di guadagnare tantissimo, ma lui replico: “Non è ristrutturando case che si guadagna, ma costruendole. I soldi per i terreni? E noi bancari a cosa serviamo? ”. Mi lanciai. Era una nuova scommessa. Anche questa funzionò. Costruii ville e palazzi ovunque, anche nel quartiere di Sydney che si chiama Bronte. Quante sorprese ti riserva la vita». Con il suo lavoro, Sam ha guadagnato tantissimo. Nel frattempo si era sposato ed aveva avuto due figlie. Ma c’era una voce segreta dentro di lui che lo chiamava. Era il richiamo della sua terra. L’Australia era la sua seconda patria. La prima era rimasta la Sicilia: «Decisi di smettere di lavorare. Avevo guadagnato abbastanza. Volevo tornare a Bronte – racconta -, magari fare 6 mesi qui e gli altri in Australia. Avrei preso in giro le stagioni, evitando l’inverno. A mia moglie questa idea non piacque e non mi seguì. Oggi vivo a Bronte, nella mia terra con mia nipote Zina. I miei figli vengono ogni anno a trovarmi e spesso anche i miei nipoti australiani. So che stanno tutti bene. L’Etna mi ha stregato. Ha deciso che dovevo tornare». E guarda caso anche a Bronte tutti lo conoscono e lo apprezzano. Il suo diario si legge in un fiato. Le sue storie sono come le ciliege: l’una attira l’altra. Sono un giacimento di ricordi e di esperienze che sarebbe bello potesse essere letto dalle giovani generazioni, che potrebbero così conoscere importanti eventi del passato e trarne preziosi insegnamenti di vita. Le parole del libro trasmettono saggezza e pace interiore. La stessa che si percepisce ascoltando la voce di Sam, ricordo vivente di una storia antica, ma a tratti incredibilmente attuale e di grande insegnamento per tutti.
Gaetano Guidotto Fonte “La Sicilia” del 08-12-2014