di Rino Marrone – Giornalista Professionista Già vice capo Redattore di “Avvenire” – Milano
Bronte, è la “Città del Pistacchio”. Furono gli arabi a promuoverlo e a diffonderlo in tutta la Sicilia. Oggi, Bronte vanta circa 20 mila abitanti, è una cittadina operosa, ricca di monumenti storici, di alberghi e di ogni confort per i residenti e per turisti; l’abitato è nella zona nord-est dell’Etna, su un pendio lavico. Qui si tiene, dal 1 dicembre al 6 gennaio l’esposizione dei “presepi di tutto il mondo”; dal 1 al 5 ottobre, la Sagra del Pistacchio, importante vetrina dell’oro verde Dop; ad agosto (ma non ogni anno) la Festa in onore di SS. Maria Assunta, patrona di Bronte (con San Biagio che però si festeggia il 3 febbraio), con processione e tradizionale “Volo dell’angelo”.
Con la festa dedicata a Maria SS. Assunta, in agosto, gli abitanti di Bronte rinnovano in preghiera il ricordo di quei primi giorni di agosto del 1860, giorni di rivolta contro i Piemontesi e contro il gruppo di garibaldini guidato dal generale Nino Bixio. Una drammatica pagina di sangue innocente mai scritta nella sua verità storica, o ignorata nei libri di storia. Dimenticati di Cesare Abba, di Leonardo Sciascia, di Benedetto Radice, di Giovanni Verga, di N. Dell’Erba, il film di di Florestano Vancini del 1972, “Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato”.
Bronte nel 1860 era poco più di 10.000 abitanti, e il territorio apparteneva al ducato britannico di Nelson e rappresentava la nobiltà latifondista in contrasto con quello della società civile formata dalla popolazione non di casato nobiliare che, sperava il riscatto sociale con l’arrivo di Garibaldi il quale aveva proclamato, con un suo decreto del 2 giugno di quell’anno, la tutela delle fasce più deboli della polpolazione (a Bronte e in tutta la Sicilia), la divisione delle terre, la fine della nobiltà latifondista, più libertà e giustizia.
Ma troppi erano gli interessi economici e terrieri dell’Inghilterra verso cui Garibaldi aveva tanta benevolenza, e pertanto Bronte, in quanto appartenente agli eredi di Nelson, rientrava come territorio tra i “beni” inglesi da non toccare. Gli inglesi, infatti, avevamo favorito lo sbarco dei Mille in Sicilia ed era un “favore” che andava ripagato.
Il malcontento della popolazione si trasformò in rabbia e nel 2 agosto del 1860 abitanti, soprattutto contadini, dei paesi limitrofi si unirono ai brontesi nella rivolta contro l’autorità costituita, si diedero alle fiamme case, l’antico teatro e l’archivio comunale e si diede corso ad una vera caccia all’uomo. Sedici persone furono uccise, tra nobili, militari e civili tra cui un prete il barone di Bronte con moglie e due figlioletti.
Per sedare la rivolta, Garibaldi inviò il generale Bixio con un battaglione di garibaldini. Ma il generale garibaldino non trovò i responsabili della sommossa, erano sfuggiti in tempo. Allora si cercò tra i residenti : 150 persone furono processati in maniera sbrigativa e di questi solo cinque furono condannati alla fucilazione. Il processo durò meno di quattro ore. Alla pena capitale, l’avvocato Nicolò Lombardo, Nunzio Ciraldo Fraiunco, Nunzio Longi Longhitano, Nunzio Nunno Spitaleri, Nunzio Samperi. All’alba del 10 agosto, giorno dopo il processo, la fucilazione nella piazzetta del convento San Vito.
Il proclama di Bixio, dirà dopo: “Gli assassini, ed i ladri di Bronte sono stati severamente puniti…”. Ma in seguito si ebbe la certezza che i condannati a morte non avevano avuto nulla a che fare con la rivolta e con i saccheggiamenti e che uno dei condannati era un povero demente che uscito incolume dalla scarica dei fucili, si sarebbe inginocchiato, piangendo, davanti a Bixio implorando la grazia. Ma, secondo alcune ricostruzioni storiche, il generale garibaldino gli avrebbe esploso un colpo di pistola alla testa, uccidendolo. Nessuno dei residenti, impauriti dalla presenza dei garibaldini, protestò contro le fucilazioni, e Cesare Abba scriverà che “dopo Bronte, Randazzo, Regalbuto, Centorbi, ed altri villaggi lo vollero, sentirono la stretta della sua mano possente, gli gridarono dietro : Belva !, ma niuno osò muoversi”.
Solo 150 anni dopo, Bronte si ricordò dei suoi caduti. Due lapidi e un monumento. La lapide, voluta dal Comune su una parete del Convento di San Vito, dice: “La Città di Bronte, ad imperituro ricordo nel 150° anniversario del sacrificio dei cinque concittadini brontesi fucilati. Vittime di una giustizia sommaria, applicata in guerra in nome di una presunta ragione di stato. Bronte 10 agosto 2010, il sindaco, sen. Giuseppe Firrarello”. L’altra lapide accumuna i nomi delle 16 vittime trucidate dai rivoltosi in quei giorni drammatici e quelli fatti fucilare da Bixio. Il monumento, eretto, nel 1985, è situato ai piedi della scalinata antistante il Convento di San Vito. Seguirono il processo a Bixio (atti pubblicati dall’editore Giuseppe Mamone nel 1991) e, nel 1990, un Simposio con riferimento alla strage di Bronte, tenuto nel parco del Castello Nelson, ora in restauro, unitamente a una mostra di dipinti e disegni di Maestri italiani sui fatti del 186o a Bronte, su uniziativa dell’arista brontese NunzioSciavarrello e realizzata dall’Istituto per la Cultura e l’Arte di Catania..
Se ne parla ancora, a Bronte, di quella strage di innocenti e la memoria maturata attraverso i racconti da padre a figlio, si fa più viva, ad agosto di ogni anno, nel momento in cui la Fede e la religiosità chiamano le famiglie a raccolta in preghiera ai piedi dell’Assunta.
Se ne parla a Bronte, ma non più nel resto d’Italia e nemmeno nei libri di storia. . E’ calato il silenzio.
A cosa serve commentare se voi non publicate,o eliminate i commenti.
Egregio signor Patane, qui nessuno ha eliminato nulla, a cosa si riferisce?
Secondo me la lapide a ricordo e’ incompleta.
Chi ha ucciso?
Se Nino Bixio ha dato la sentenza di morte perché non citare il suo nome?