Rimbomba ancora l’eco delle parole del garante della privacy, Antonello Soro, che, commentando il grave episodio del suicidio di Tiziana Cantone, la giovane di 31 anni che ha tentato inutilmente di bloccare un suo video hard che circolava online, ha ribadito come bisogna avere maggiore coscienza e consapevolezza nel pubblicare immagini via internet, oltre alla necessità di promuovere educazione digitale, sensibilità e rispetto degli altri fra coloro che comunicano sui social. Ma qualche giorno fa a Bronte intorno le 22 e 30 un giovane di 34 anni è salito sul tetto di casa ed è precipitato nel vuoto, cadendo sulla strada. L’ipotesi più plausibile, ma non dimostrata, è il suicidio. I primi passanti hanno lanciato l’allarme e quella via è stata invasa dalle urla strazianti di parenti e amici. Qualche passante ha bloccato il transito delle auto per consentire i soccorsi, qualcun altro non ha trovato altra da fare che fotografare e filmare il corpo all’apparenza senza vita del giovane riverso per terra, riprendendo anche lo strazio ed il dolore di chi gli voleva bene. Per molti già questo potrebbe rappresentare una palese violazione dell’intimo e del dolore che si trasforma in mancanza di rispetto verso chi ha perso la vita e verso la sua famiglia. Violazione che si è aggravata in maniera esponenziale quando chi ha filmato, immediatamente dopo, ha inviato via whatsapp ai suoi amici video o foto, dando inizio alla moltiplicazione dei destinatari dell’informazione. Secondo i dati raccolti sembrerebbe che solo in pochi fra i destinatari hanno deciso di interrompere l’orribile catena, in tanti hanno continuato a diffondere foto ed immagini ai loro amici, foto che in pochi minuti hanno addirittura valicato i confini regionali. Pensate che amici della famiglia dell’uomo che vivono a Milano hanno visto la sua foto riverso per terra quando ancora questo si trovava in coma in ospedale a Bronte. Le immagini sono state viste da alcuni bambini che giocavano con gli smartphone dei fratelli o dei genitori. Il dramma di quella famiglia brontese è diventato in pochi minuti di dominio pubblico. Ovviamente l’episodio ha fatto il giro della città. Tanti e variegati i commenti nei bar e nelle piazze e quasi tutte di condanna verso chi ha filmato e messo in rete un momento che meritava maggiore rispetto e riservatezza. Poi si sa, eliminare per sempre qualsiasi contenuto sgradito dal web è un’impresa quasi impossibile ed anche fra anni c’è il rischio di rivedere l’orrendo video. Per tanti, chi ha filmato e messo in rete, ma anche chi non si è fatto scrupolo a far rimbalzare sui telefonini di migliaia di internauti le foto, sono moralmente condannabili. Certo, però, fanno parte di una società digitalizzata che pensa di utilizzare i social senza regole. Non tutti, infatti, sono consapevoli che la pubblicazione di una fotografia o di un video raffigurante persone è regolata da norme giuridiche, eppure attraverso i social si improvvisano reporter per un giorno. Adesso a Bronte è caccia ai responsabili, ma difficilmente si avranno dei nomi. La famiglia del giovane suicida è troppo per bene per pensare ad una denuncia e poi, come ci dicono, si rischia di infierire contro centinaia di persone che hanno a loro volta diffuso video ed immagini. Ed allora ci limitiamo a raccontare l’ennesimo episodio di violenza digitale perpetrata attraverso i social nella speranza che questo scuota le coscienze. Gaetano Guidotto Fonte “La Sicilia” del 17-09-2016