Non solo minacce e danneggiamenti ai proprietari dei terreni. “La Mafia dei Nebrodi” escogita ogni sistema per moltiplicare introiti, guadagni e finanziamenti, soprattutto quelli comunitari. E non solo sui monti del Messinese. L’attentato al presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, è stato la goccia che ha fatto traboccare un vaso pieno da decenni. E’ notorio che chiunque, istituzioni comprese, intende programmare attività che prevedono l’utilizzo delle terre, deve avere a che fare con una parte degli allevatori. Intendiamoci: allevatore non è sinonimo di delinquente. Ma chi fra questi esercita attività criminale, danneggia di certo il buon nome di tutta la categoria. Ma la mafia dei pascoli, non è solo minacce e danneggiamenti ai proprietari dei terreni, non è solo pascoli abusivi e case rurali incendiate per scoraggiare e imporre il dominio sul territorio. Ci sono altri fenomeni al vaglio degli investigatori, che sostengono come molti allevatori avrebbero registrato lo stesso contratto d’affitto di un terreno in più Caf, per ottenere lo stesso finanziamento più volte, mentre qualcun altro avrebbe fatto registrare lo stesso contratto per la stessa particella di terreno a più allevatori o persone. Il risultato è lo stesso: a causa dei mancati controlli, i finanziamenti si moltiplicano. Così le terre si trasformano in oro, per cui vale la pena minacciare gli altri allevatori o scoraggiare i proprietari dei terreni. E vogliamo parlare degli incendi che certo producono nuova erba per i pascoli e spesso distruggono, senza lasciare traccia se siano state piantate realmente le piantagioni, magari biologiche, per cui, anche in questo caso, si erano ottenuti finanziamenti? Oppure dei fienili andati in fumo? Da anni bruciano senza che si capiscano le cause e i motivi. Certo sui terreni andati in fumo la legge vieta il pascolo per 10 anni, ma poi ricrescendo l’erba vi pascolano gli stessi capi dell’anno precedente. Un sistema perverso che si respira, si percepisce, addirittura si sfiora, ma che fino ad oggi nessuno è riuscito a sradicare del tutto. Eppure l’impressione è che sarebbe semplice: basterebbero maggiori controlli sui terreni, sulle particelle per cui si chiede contributo, controlli sugli affitti delle terre ed infine sui capi di bestiame che dovrebbero essere tutti etichettati con il microchip o il bolo intestinale, perché stranamente le etichette auricolari spesso si perdono. Fonte “La Sicilia” del 20-02-2017