Leggo con autentica sorpresa che il sacerdote accusato di violenza sessuale (avendo tentato più volte e in luoghi diversi di abusare sessualmente tra il 2005 e il 2007 di un minorenne), domenica scorsa ha ricominciato a celebrare Messa, accolto festosamente dalla comunità parrocchiale di Randazzo. Ciò è stato possibile perché la Cassazione, dopo la condanna subita dallo stesso in primo e secondo grado, ha dichiarato estinto il reato per avvenuta prescrizione. Ma prescrizione non significa per nulla assoluzione, perché una cosa è essere assolti nel merito, tutt’altra è essere prescritti. Il dubbio resta, anche perché il condannato non ha rinunziato, pur potendolo, alla prescrizione. Né convincono le motivazioni con cui il sindaco, nell’intervista riportata, ha liquidato la delicata questione, giustificando in toto il comportamento del prete, sol perché il tribunale ecclesiastico (cui ha attribuito una più che discutibile patente di superiorità rispetto a quello ordinario), lo avrebbe giudicato non colpevole. Molto probabilmente senza nemmeno aver letto tale statuizione, il cui contenuto non è stato reso pubblico dalla Diocesi, la quale si è limitata a diffonderne unicamente le conclusioni (“non consta che egli abbia compiuto il delitto”). “Non consta”, però, non ha il medesimo significato di “non ha”: indica semplicemente l’impossibilità da parte del giudicante di appurare la veridicità dei fatti, tanto da non aver ritenuto che gli elementi a carico dell’imputato potessero condurre a un totale proscioglimento. Quindi, una specie di assoluzione per insufficienza di prove. A questo deve aggiungersi che la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso agli effetti civili, condannando il ricorrente (cioè il sacerdote) al pagamento delle spese per il grado di giudizio di legittimità, dandogli la possibilità di promuovere l’azione risarcitoria in sede civile. E ciò è fonte di ulteriori dubbi sul comportamento dell’imputato, peraltro, è bene ribadire, sanzionato da parte dei giudici del merito (gli unici che hanno affrontato la questione sotto il profilo giuridico), con una condanna, confermata in appello. E allora, fermo restando che soltanto i due protagonisti della vicenda possono sapere quale sia stata la verità, di cui dovranno principalmente rispondere alla loro coscienza, forse sarebbe stato più confacente che la Chiesa, “se proprio” doveva reintegrare il religioso nelle sue funzioni sacerdotali, lo avesse destinato ad altra parrocchia geograficamente distante, e che i fedeli, “se proprio” volevano il ritorno di quel parroco, si fossero limitati ad una accoglienza meno entusiastica, anche per il rispetto dovuto alla vittima di questo drammatico evento. CLAUDIO MELCHIORRI Fonte “La Sicilia” del 03-11-2019