I boss del clan dei Sangani di Randazzo sono stati rinviati a giudizio. Il gup Stefano Montoneri ha accolto la richiesta della pm Assunta Musella per i 21 imputati – che hanno optato per il rito ordinario – dell’inchiesta Terra Bruciata. Il processo si aprirà il prossimo 11 maggio davanti alla IV sezione penale del Tribunale di Catania. Associazione mafiosa, estorsione, droga, armi e danneggiamento sono i reati di cui sono accusati, ma a vario titolo, Remo Arcarisi, Vincenzo Calà, Daniele Camarda, Michele Camarda, Giuseppe Costanzo Zammataro, Marco Crastì Saddeo, Salvatore Crastì Saddeo, Giovanni Farina, Francesco Paolo Giordano, Vincenzo Gullotto, Daniele Lo Giudice, Vincenzo Lo Giudice, Alfredo Mangione, Giuseppe Palermo, Simone Puglia, Salvatore Russo, Francesco Sangani, Michael Sangani, Salvatore Sangani, Rosario Sebastiano Sorbello e Salvatore Trazzera. Il gup, inoltre, con apposita ordinanza ha escluso, e quindi, rigettato la richiesta di costituzione di parte civile di diverse associazioni antiracket del territorio catanese. L’inchiesta dei carabinieri ha documentato molti episodi di imprenditori taglieggiati e che hanno anche subito ritorsioni come incendi. Turi Sangani, con i due figli e il nipote Samuele Portale (che affronterà l’abbreviato), ha creato a Randazzo e nelle campagne limitrofe la sua repubblica criminale autonoma. Anche se la sua leadership mafiosa farebbe direttamente riferimento alla famiglia mafiosa dei Laudani. Si sarebbero sentiti un po’ i padroni di un territorio. «Si fa come dico io e basta!», diceva Sangani senior in un’intercettazione finita nei faldoni dell’operazione. Il gruppo mafioso aveva utilizzato i fondi che utilizzava per pascoli anche per organizzare le riunioni del clan dove si decidevano le strategie criminali.
Una cosca che avrebbe avuto a disposizione molte armi. A riprova di questo, qualche settimana fa, i carabinieri hanno rinvenuto in un terreno di Contrada Dagala Longa di Randazzo un arsenale. Precisamente hanno recuperato in un fossato coperto da pietre vicino a un ovile 2 fucili con matricola abrasa in perfetto stato d’efficienza. Precisamente i militari hanno sequestrato – proprio nel giorno della prima udienza del processo – una doppietta marca Beretta calibro 12 e di un monocanna marca Beretta calibro 12, e 8 otto cartucce dello stesso calibro. Le armi erano nascoste in buste di plastica, assieme a un contenitore di olio per lubrificarle e mantenerle funzionanti e ad una tessera telefonica plastificata priva di sim card e intestata a un parente dell’imputato. Naturalmente per queste armi si procede separatamente. Ma torniamo al processo “Terra Bruciata”, gli altri 12 imputati hanno chiesto e ottenuto l’accesso a riti alternativi, tra abbreviati e patteggiamenti. La requisitoria del pm, su quel troncone, comincerà a fine maggio. Laura Distefano Fonte “La Sicilia” del 29-03-2023