A quasi 4 anni dall’accaduto, quello che sembrava un incidente autonomo costata la vita al giovane Sebastiano Triscari, allora 23enne, ha dei risvolti che porteranno, il prossimo 5 luglio, all’udienza davanti al Gip, con la richiesta di rinvio a giudizio per un 30enne di Maniace, che secondo la difesa ha cagionato l’incidente, con l’imputazione di omicidio stradale che prevede una pena da due a sette anni di reclusione. Questo dopo che in un primo momento tutto era stato archiviato, imputando al giovane defunto la colpa dell’incidente. Ma in questi 4 anni, molte cose sono cambiate. In primis la famiglia del ragazzo, con in testa il padre Giovanni, che ha cercato ad ogni costo la verità, senza mai arrendersi. Poi il grande lavoro di periti e avvocati che hanno spinto il pm a riaprire il caso, indagando più a fondo per giungere al risultato odierno. Ma andiamo ai fatti. Il giovane Sebastiano Triscari morì il 22 maggio 2020, intorno alle 22, a seguito di un incidente avvenuto nel piccolo centro etneo in corso Margherito, a pochi metri da via Beato Placido. Dopo un primo momento in cui tutti parlavano di incidente fatale, la famiglia, a seguito di alcune voci che si sentivano in paese, decise di rivolgersi all’associazione familiari vittime della strada, e in particolare al loro avvocato, Rodolfo Nesci, che insieme al perito di parte, l’ingegnere Grazia La Cava, riuscirono ad identificare nei video di alcune telecamere poste sulla strada, un furgone azzurro che dopo l’incidente fuggì dal luogo dell’incidente senza prestare soccorso, né avvisare il 112. A seguito di altre indagini, si notò che tale furgone – rimasto pochi istanti sul luogo dell’incidente, prima di ripartire – proveniva da via Beato Placido, e probabilmente era uscito verso la sua sinistra, senza rispettare lo stop, mentre proveniva l’Alfa Romeo 147 guidata da Triscari, provocando una deviazione forse fatale per l’innesco dell’incidente.
Per accertare l’esatta dinamica e l’eventuale omissione di soccorso sarà necessario aspettare l’udienza del 5 luglio e in seguito il processo. «La nostra associazione, aiuta le famiglie a trovare la verità, anche se spesso ci chiamano ad indagini chiuse – dichiara l’avvocato Rodolfo Nesci – in questo caso, grazie al lavoro svolto insieme all’ingegnere La Cava, e alla perseveranza del pm Fabrizio Aliotta, che ha voluto riaprire il caso, oggi siamo in grado di dare una spiegazione a un incidente che era già stato archiviato e dimenticato, per questo è necessario chiedere subito un nostro supporto». Nessun commento dalla famiglia, invece, che resta in attesa dell’udienza, tranne i ringraziamenti al Pm, ai carabinieri, all’ingegnere La Cava, e agli avvocati Attilio Floresta e soprattutto Rodolfo Nesci, che hanno portato alla luce particolari che in un primo momento erano sfuggite alle indagini. LUIGI SAITTA Fonte “La Sicilia” del 21-03-2024