Non sappiamo ancora cos’è avvenuto nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2016, quello che però sappiamo con sufficiente chiarezza è che la mafia sui Nebrodi non è una nebulosa, al contrario è una presenza accertata, uno “stakeholder” che gioca un ruolo di primo piano in un territorio ampio e spesso vivace dal punto di vista economico, in cui gli affari possono prendere quota consistenza mafiosa. Storia e geografia sono sufficienti a farci intuire quanto profonde possono essere le radici di questa presenza inquietante, mentre indagini anche recenti ne hanno messo a nudo metodi e pericolosità. Dal versante tirrenico della provincia di Messina, i principali centri di “irradiazione” sono costituiti da Tortorici e Mistretta. Con diverso profilo, modus operandi e peso. I tortoriciani, divenuti visibili negli anni Ottanta e Novanta organizzandosi attorno alle “famiglie” dei Bontempo Scavo e del Galati Giordano, anche per ragioni di contiguità territoriali potevano vantare già allora collegamenti con la criminalità organizzata di Barcellona Pozzo di Gotto per un verso e dall’altro con quella catanese, che espandeva le proprie ramificazioni in provincia risalendo l’Etna e qui, appunto, saldandosi con i tortoriciani nel loro cammino verso sud dal versante settentrionale dei Nebrodi. Un movimento peraltro visibile, perché seguiva le vie della transumanza che nelle campagne attorno a Maletto, Bronte, Randazzo tendeva a sostituire alla legge del contadino, che faticosamente costruisce anno dopo anno, con quella del “pastore errante” che viola colture e le trasforma in pascolo. In questo vagare c’è stata anche un “arricchimento etnico”.
E in questa proiezione verso nuove terre, i tortoriciani e i loro alleati – come veri e propri colonizzatori individuavano o insediavano sui posti i “fiduciari” – si sono spesso spinti, lambendo la provincia ragusana, fino al Lentinese e al Calatino. E in entrambe queste aree non mancano esempi della loro presenza ingombrante. Basti ricordare (ultimo di una serie di violenze) l’omicidio dell’allevatore di origine brontese Giuseppe Destro, nelle campagne di Licodia Eubea, nel febbraio dell’anno scorso e per il quale furono arrestate tre persone di origine tortoriciana. Un’esecuzione inquadrata dalla Procura di Caltagirone come delitto nato nell’ambito della faida per il controllo dei pascoli. È lecito, a questo punto, chiedersi perché i terreni per il pascolo sono così importanti: attirano i finanziamenti dell’Unione Europea e insieme con la macellazione clandestina garantiscono proventi de reimpiegare in altri affari, con la mediazione della mafia “maggiore”, quella cittadina più avvezza a riciclare e tesaurizzare soldi di dubbia provenienza. I metodi per arrivare al controllo delle terre sono quelli tipici dell’agire mafioso in contesti agro-pastorali: danneggiamenti, recinzioni tagliate, incendi, invasioni. Un repertorio famigerato che porta i proprietari a cedere i loro terreni, spesso affittandoli per pochi soldi al fine di limitare danni e problemi. Di altro tenore la presenza della famiglia di Mistretta, che fa capo ai Rampulla, un esponente di quali avrebbe in qualche maniera veicolato verso Capaci una parte dell’esplosivo utilizzato per uccidere il giudice Falcone, la moglie e gli agenti della scorta.
Prossima alla provincia palermitana, nella geografia mafiosa Mistretta è contigua a San Mauro Castelverde, dove opera una cosca “storica” e lì la dorsale dei Nebrodi si innesta in quella delle Madonie, mentre basta scollinare per trovarsi in un territorio in cui sono prossime le province di Messina, Enna, Palermo e Caltanissetta. E di recente la Procura nissena ha aperto un filone di indagine che è sfociato nell’operazione “Terre emerse” che ha portato a 12 ordinanze di custodia cautelare e a un’ordinanza di interdizione dalla professione per un notaio di Grammichele. La magistratura ha fatto luce su due gruppi cosche mafiose dei Nebrodi e delle Madonie che attraverso intestazioni fittizie di beni, terreni, aziende, avrebbero “occupato” vaste aree montane destinate a pascoli, ottenendo anche i contributi comunitari. Le famiglie coinvolte nell’inchiesta a cui ha collaborato anche il Servizio centrale di investigazioni sulla criminalità organizzata, sono quella dei Di Dio per l’aera dei Nebrodi e dei Virga di Gangi con legami alla cosca mafiosa di San Mauro di Castelverde per le Madonie. Nino Arena Fonte “La Sicilia” del 07-10-2019