Dopo l’applicazione del “Protocollo Antoci”, che ha permesso una svolta nella concessione dei pascoli demaniali, mettendo una stretta a chi aveva determinati carichi pendenti in corso o accertati, la Regione vara una norma ancora più severa e restrittiva per espletare l’assegnazione e mette in campo un nuovo protocollo, denominato “Protocollo Bandiera”, che nega l’assegnazione dei pascoli a chi, oltre a non avere il certificato antimafia pulito, ha sul groppone anche altri reati, anche minori e che non sia in regola con la legge. Questo, se da un lato tutela tutti gli allevatori onesti, cosa peraltro giustissima, dall’altro dà il via alla disperata ricerca di prestanome che abbiano le caratteristiche previste dalla nuova normativa, siano incensurati e soprattutto che si pieghino ai voleri di chi li guida da dietro le quinte. Questo perché la concessione dei pascoli ha alle sue spalle un interesse economico molto rilevante. Addirittura per la sola Sicilia si parla di cifre che si aggirano intorno ai 5 miliardi di euro. La “guerra” che spesso avviene tra gli stessi affittuari o contro chi bonifica il loro terreno coltivandolo o ristrutturando vecchi fabbricati rurali, ha un unico punto in comune: accaparrarsi i contributi dell’Unione europea. Infatti, il vero scopo di avere la concessione, oltre a quello dei pascoli che è molto deleterio (in quanto spesso gli animali, in alcune zone, vengono fatti pascolare anche senza concessione) è solo quello, in quanto i contributi che elargisce l’Ue sono ripartiti proprio in funzione degli ettari di cui si ha la proprietà o la concessione d’affitto. Ecco spiegato il motivo di case rurali e fienili date alle fiamme, recinzioni spesso tagliate o nuove colture, tra cui l’impianto di frutteti, che vengono appositamente danneggiati per dissuadere i proprietari dall’usare i propri terreni e darli in affitto spesso per poche centinaia di euro.
Fino a qualche anno fa, i controlli per vedere chi aveva assegnata una concessione erano inesistenti e spesso, se non quasi sempre, gli assegnatari erano sempre gli stessi. Poi, a partire dal 2015, l’arrivo del protocollo Antoci, stilato da Giuseppe Antoci allora commissario dell’Ente Parco dei Nebrodi, iniziò a dare una stretta sull’assegnazione delle concessioni. Il protocollo prevedeva la presentazione del certificato antimafia anche per bandi di assegnazione inferiori a 150mila euro. In pratica, molti affiliati ai clan partecipavano a nome loro o con prestanomi ai bandi fino a questa cifra, riuscendo spesso ad accaparrarsi diverse concessioni, anche 4-5 riconducibili alla stessa persona. L’applicazione del protocollo Antoci, ha colpito i moderni affari della mafia. Non più furto di animali o la richiesta di estorsione come una volta, ma partecipazione ai bandi di assegnazione, spesso vietata agli allevatori onesti, che subivano continue minacce.
Il nuovo protocollo, elaborato dall’assessorato regionale all’Agricoltura diretto da Edy Bandiera, nega la possibilità di partecipare ai bandi anche a chi ha reati minori, tra cui violenza o minaccia ad un corpo politico; amministrativo o giudiziario; maltrattamento di animali; percosse, lesioni personali dolose o colpose; omicidio sul lavoro; lesioni sul lavoro; violenza privata; minaccia; furto; rapina; estorsione; invasione di terreni o edifici; turbativa violenta del possesso di cose immobili; danneggiamento; pascolo abusivo; ingresso abusivo nel fondo altrui; uccisione o danneggiamento di animali altrui; truffa; usura; riciclaggio; impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita; autoriciclaggio; porto abusivo d’armi; trafficanti di stupefacenti; Toccherà ora alle varie Aziende Forestali provinciali, agli Enti Parco e ai Comuni, che hanno in carico le migliaia di ettari del patrimonio demaniale regionale, fare in modo che questo nuovo e importante protocollo venga rispettato. Luigi Saitta Fonte “La Sicilia” del 18-03-2020