Ci sono i posti di lavoro in cambio di voti e l’assegnazione di alcuni alloggi popolari, ma anche le estorsioni (numerose), la droga – cocaina, hashish e marijuana – e le armi dietro agli affari del gruppo mafioso dei Sangani di Randazzo, costola del clan catenese dei Laudani, “i mussi i ficurinia”. Sono 21 le persone arrestate, 37 complessivamente quelle indagate nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Catania “Terra bruciata”. Devono rispondere di associazione mafiosa, traffico di droga, detenzione di armi e voto di scambio politico-mafioso. In occasione delle elezioni Amministrative di Randazzo del 2018, infatti, le indagini hanno fatto emergere le interferenze del gruppo criminale sull’amministrazione comunale. Tra gli indagati ci sono il sindaco di Randazzo Francesco Giovanni Emanuele Sgroi (primo cittadino attuale e nella scorsa legislatura), il presidente del Consiglio comunale Carmelo Tindaro Scalisi e Marco Crimi Stigliolo ex consigliere comunale, in carica nel 2018. L’ipotesi è che abbiano accettato voti in cambio di assunzioni nella ditta “Ecolandia” che si occupa della gestione dei rifiuti. Per loro tre non è stata avanzata alcuna misura cautelare, ma un avviso di garanzia. Saranno sentiti in tribunale nei prossimi giorni. Per altri 13 indagati è stato emesso un avviso di conclusione indagini. Nell’estate del 2018, dopo l’agguato – mai denunciato dalla vittima – di Antonino Costanzo Zammataro, gli investigatori cominciano a indagare. Scampato per miracolo ai colpi di pistola, i segni rimasero evidenti sulla fiancata dell’auto. Un «avvertimento» da parte del clan per smettere di spacciare e a ritornare a svolgere l’attività di macellaio. Ed è così che, in pieno lockdown per via della pandemia da Covid-19, i carabinieri della compagnia di Randazzo e del comando provinciale etneo si concentrano sull’attività di Salvatore Sangani, 58 anni, referente di zona del clan per conto di Paolo Di Mauro morto nel corso dell’indagine e figura apicale, finché in vita dei “Laudani” per l’intera fascia ionico-etnea. “Turi”Sangani, a partire da febbraio 2008, appena riacquistata la libertà, sostituendosi al fratello Oliviero (detenuto per omicidio plurimo) ha impresso nuovo slancio alle attività criminali, incrementando, in particolare, sia le estorsioni ai danni di imprenditori locali, sia il traffico di sostanze stupefacenti. A ricoprire un ruolo di rilievo sono anche i suoi figli Francesco e Michael e il nipote Samuele Portale.
Quest’ultimo, in qualità di “braccio destro” dello zio “Turi” evitando l’esposizione diretta dello stesso nella gestione degli affari di droga ha mantenuto i contatti con gli affiliati di altre organizzazioni per l’approvvigio – namento della sostanza stupefacente. Per sostenere i detenuti in carcere il clan utilizzava soprattutto i soldi delle estorsioni su input in particolare di Salvatore e Francesco Sangani e di Samuele Portale. Mille euro al mese chiesti a un panettiere, a un’impresa edile, a un vivaista a cui è stata incendiata una serra e al titolare di una cantina che ha visto finire in fumo il suo casolare. A chiedere e a riscuotere il pizzo erano diversi insospettabili, apparentemente del tutto estranei all’organizzazione criminale, ma chiaramente percepiti dalle vittime come mandati dal clan. In alcuni casi, la richiesta estorsiva veniva “annunciata” attraverso il posizionamento di una bottiglia con liquido infiammabile all’esterno della attività commerciale della vittima, accompagnata da un pizzino con la scritta: “Cercati l’amico buono”. Durante le indagini sono state anche sequestrate armi che il clan aveva addirittura cercato di vendere – durante il lockdown – per fare cassa. Francesca Aglieri Fonte “La Sicilia” del 27-10-2022 CLICCA QUI PER I NOMI DEGLI ARRESTATI
LE MANI DEL CLAN SU RANDAZZO – Le mani della mafia anche sull’attività politica e amministrativa del Comune di Randazzo, borgo medievale e attrazione turistica in provincia di Catania. Lo storico clan dei Laudani, con il gruppo dei Sangani molto attivo sul territorio, ha per anni controllato le estorsioni, il traffico di armi e il mercato della droga e si è infiltrato anche tra i colletti bianchi garantendo voti in cambio di posti di lavoro e di alloggi popolari. Ed è così che nell’inchiesta antimafia della Dda di Catania “Terra bruciata” finiscono indagati Francesco Giovanni Emanuele Sgroi, all’epoca delle indagini e tuttora sindaco di Randazzo, Carmelo Tindaro Scalisi, consigliere comunale e attuale presidente del Consiglio e Marco Scalisi Stigliolo, consigliere comunale nella precedente legislatura. Per loro nessuna richiesta di misura cautelare, ma un invito a rendere dichiarazioni in Tribunale. Le indagini dei militari della Compagnia Carabinieri di Randazzo tra il luglio 2018 e il gennaio 2021, attraverso complesse attività tecniche e dinamiche, riscontrate dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Carmelo Porto che ha confermato la presenza storica del gruppo sul territorio, ha consentito di monitorare l’evoluzione delle «tradizionali» dinamiche associative del clan, capeggiato da Salvatore Sangani, 58 anni. L’attività investigativa ha poi documentato i “reati fine” strumentali al sostentamento della famiglia mafiosa, tra i quali le estorsioni ai danni di imprenditori del catanese, un fiorente traffico di cocaina, hashish e marijuana e la detenzione di armi, anche da guerra.
Con un arsenale sotterrato in campagna e custodito all’interno di tubi di plastica. Tra le armi sequestrate c’è persino un metaldetector, impiegato dagli indagati per trovare le armi in profondità nei terreni anche dopo molto tempo, senza dover segnalare, sulla superficie, il luogo destinato al loro interramento. Degno di nota poi il controllo, capillare e asfissiante, dell’organizzazione criminale ai danni di solide attività economiche, anche attraverso l’imposizione di assunzioni di alcuni sodali del clan in alcune ditte. Altro dato particolarmente «significativo» e «allarmante» è il controllo del territorio esercitato dagli affiliati, che, dopo il passaggio delle forze dell’ordine, avrebbero chiesto alle persone del paese i motivi della presenza acquisendo dettagliate informazioni. A testimonianza dell’indice di mafiosità degli indagati anche la scelta, fatta dallo spacciatore «prediletto» dal capo clan dei nomi da dare ai cani: “Messina” e “Denaro” con chiaro riferimento al super latitante, la “primula rossa” della mafia. Francesca Aglieri Fonte “La Sicilia” del 27-10-2022