Già nel mese di settembre del 2016, su proposta del direttore della Dia in sinergia con la Procura distrettuale antimafia diretta da Carmelo Zuccaro, gli erano stati sequestrati beni per un valore di 700.000 euro. A distanza di 15 mesi, quello stesso patrimonio è stato confiscato grazie a un decreto eseguito dalla Dia ed emesso dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catania. Lui è Francesco Rosta, 74 anni, ritenuto dagli inquirenti un elemento di vertice della famiglia mafiosa “Ragaglia”, dominante a Randazzo e collegata al clan catanese “Laudani”. Rosta vanta un pedigree di tutto rispetto. Nel novembre del 2014 fu colpito da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip nei confronti di soggetti ritenuti, a vario titolo, responsabili di appartenere a un’associazione per delinquere di stampo mafioso denominata “Ragaglia”, operante nel comune di Randazzo e collegata ai “Laudani”. Nel corso dell’operazione Rosta si rese irreperibile e la sua latitanza durò fino a giugno 2015, quando, dopo indagini serrate, venne rintracciato e arrestato a Licata. Il 3 luglio la V Sezione penale del Tribunale della libertà gli
concesse il beneficio degli arresti domiciliari. La Dia è riuscita oggi a dimostrare la rilevante sproporzione tra i redditi dichiarati, l’attività svolta e gli arricchimenti patrimoniali di Rosta. Per questo il Tribunale ha disposto la confisca dei beni. Il patrimonio è composto dalla società “Azienda agricola bovini dell’Etna S.a.s. di Rosta Giuseppe”; 3 appezzamenti di terreni, di cui uno con annesso fabbricato; un’auto Bmw X6; 2 conti correnti e 2 libretti deposito a risparmio tenuti presso le Poste e Istituti di credito. Vittorio Romano Fonte “La Sicilia” del 31-12-2017