Accade che a certe latitudini – in territori per anni piegati dalla mafia – le locandine di un’iniziativa civica per la legalità, in programma domani nel giorno della Strage di Capaci, vengano ridotte a carta straccia. Manifesti strappati, nascosti, ricoperti da altri non autorizzati e tutti a firma di un’agenzia funebre. Un gesto vile quanto macabro che riecheggia in quel di Randazzo non solo perché indigna la parte sana della comunità, ma perché il titolare della ditta (“L’Orchidea”) che ha affisso i necrologi è l’ex assessore del comune sciolto per mafia, Nunzio Gerardo Proietto Batturi. «Abbiamo provveduto alla rimozione dei necrologi abusivi – fa sapere il commissario Isabella Giusto, a nome della Commissione prefettizia – e alle sanzioni alla ditta per avere coperto dei manifesti regolarmente autorizzati e soprattutto ad affiggere nuovamente le locandine dello spettacolo. È una cosa grave quella che è accaduta che ha leso l’immagine della Giornata della legalità, memoria per tutti noi. Per questo ci siamo attivati con un’azione incisiva e immediata per ripristinare le regole, a tutela dei cittadini e per affermare quel principio di legalità da cui una comunità non può prescindere». L’iniziativa pubblicizzata nei manifesti rimossi è lo spettacolo teatrale “Libere donne contro la mafia”, promosso dall’associazione di promozione sociale Civitas, presieduta da Domenico Palermo. «Abbiamo pubblicizzato l’evento – denuncia l’associazione sulla pagina Facebook – tappezzando i muri e gli appositi spazi di locandine e manifesti. Affissione regolarmente autorizzata e regolarmente pagata con le dovute imposte.
Ma cosa avviene? Nel perfetto e consueto stile mafioso i manifesti vengono strappati, nascosti, ricoperti da altri non autorizzati e tutti a firma di una agenzia funebre. Che sia pure un macabro avvertimento? Noi domani saremo lì. Speriamo di avere la solidarietà dei cittadini per il bene di Randazzo, dei giovani e di coloro che credono ancora che la legalità sia la cosa più preziosa della vita pubblica». Quando si parla di mafia, ma soprattutto di legalità, il pensiero va a Rità Spartà, la donna-coraggio a cui il clan Sangani, 31 anni anni fa ha ucciso il padre e i due fratelli. E che non ha mai smesso di lottare per il riscatto della sua Randazzo. «Questa vicenda che mi lascia sconvolta e allibita – commenta Rita a La Sicilia – dimostra come siamo ancora nel far west e come in questo paese non è cambiato molto, nonostante siano passati 31 anni. Se non sarò a Palermo con la mia scuola, domani, parteciperò all’iniziativa di Civitas. Ma c’è una cosa che mi preme sottolineare il fatto che troppo spesso e in più occasioni sento parlare di devianze. Il clan mafioso randazzese portatore di morte o gli spacciatori non si possono definire soggetti deviati. Un aggettivo improprio. Bisogna chiamare questa gente mafiosa, assassina: perché vende la droga o vessa le aziende. Purtroppo sento questo umiliante sostantivo “devianze” quasi a giustificarla questa mafia». Francesca Aglieri Rinella Fonte “La Sicilia” del 22-05-2024