Non è certo un caso che Samuele Portale, arrestato nel blitz dei carabinieri Terra Bruciata, avesse deciso di chiamare i suoi cani Messina e Denaro. Una chiara dedica alla primula rossa di Cosa nostra Matteo Messina Denaro, latitante dal giugno 1993. Il boss di Randazzo, considerato il numero 2 della famiglia Sangani (alleati dei Laudani di Catania), non disdegnava di far comprendere che la sua «affiliazione» fosse slegata dalla parentela con Turi Sangani. Il vertice del gruppo mafioso, infatti, è il fratellastro del papà di Portale. Leggendo le varie intercettazioni inserite nell’ordinanza della gip Daniela Monaco Crea, viene fuori un profilo criminale che rimanda alla dialettica della vecchia mafia. Portale faceva sue le parole dello zio Salvatore Sangani «sul valore dell’operare in gruppo in armonia» per dare forza all’intero clan: «Unione, noi dobbiamo essere uniti, ma poi che c’è? La sua, la mia, uno quando perde, perdono tutti inc». Il peso all’interno dell’organizzazione mafiosa viene fuori anche dal fatto che Portale avrebbe avuto l’autorizzazione di parlare con esponenti di altre cosche. Portale avrebbe parlato ad esempio con Carmelo Pennisi, indicato dagli investigatori come esponente del clan Cintorino di Calatabiano, per sapere di un furto.
Il padrone di Messina e Denaro avrebbe fatto soldi all’interno del clan grazie al traffico di droga. Ma qualche volta ci sarebbero stati problemi con alcune forniture e questo avrebbe creato attriti tra l’indagato e lo zio Turi. Portale è intercettato mentre si lamenta con un altro indagato proprio della discussione avuta con il capo del clan. Il boss «avrebbe sottolineato» a Sangani come la droga fosse «la sua principale fonte di guadagno a differenza dei parenti che avevano diversi centri di interesse». «Vedi che io campo gli ho detto, solo con questo mentre tu hai tu hai diverse inc… dove mangi», è stato lo sfogo di Portale. Laura Distefano Fonte “La Sicilia” del 01-11-2022