È tornato a casa Marcello Rizzo, il project manager della Gitto costruzioni, liberato il 12 dicembre scorso, dopo 8 giorni di prigionia in Nigeria. È arrivato a casa la scorsa notte, dopo un’odissea che da Lagos lo ha portato prima a Parigi, poi a Roma ed infine a Lamezia Terme, perché lo scalo aeroportuale di Catania era chiuso. A Messina, agli imbarchi dei traghetti, l’abbraccio con la famiglia che è corsa ad incontrarlo. L’indomani a casa Rizzo non solo i parenti, ma anche tantissimi amici hanno voluto riabbracciare Marcello, respirando quell’atmosfera di felicità e gioia che traspare da ogni componente della famiglia. «Ero appena uscito dal cantiere di Akampka – ci racconta Marcello – nel Cross River State, una regione della Nigeria meridionale al confine con il Camerun. Col mio autista, in jeep, ci accingevamo a raggiungere i nostri residence a Cabalar, una cittadina distante circa un’ora. Erano più o meno le 20, il sole era al tramonto. Credo che siamo riusciti a percorre circa 700 metri, quando dietro una curva un albero bloccava il passaggio. L’autista ha avuto un attimo di esitazione, ed in quel momento 8 o 9 uomini con il volto scoperto ed armati di pistola ci hanno circondato. Pensavo volessero solo la mia borsa con i soldi, ma subito ho capito che cercavano anche me. Mi hanno incappucciato e puntato la pistola alla nuca, costringendomi ad abbassarmi sul sedile. Con la nostra stessa jeep mi hanno portato via, lasciando sul posto l’autista. Abbiamo viaggiato per un po’, poi mi hanno fatto scendere. Ho atteso in piedi, con una pistola sempre puntata alla nuca, circa un’ora, poi abbiamo proseguito in moto, fino ad un bosco». E quel bosco, fuori, all’addiaccio, era il luogo delle prigionia. «Ero con una gamba legata ad un albero – continua a raccontare – ed ho dormito sempre per terra, in balia della pioggia e delle zanzare. Il passamontagna era il mio cuscino. Loro mi tranquillizzavano, mi dicevano che non volevano uccidermi, ma ovviamente il pensiero pensava a come gestire il momento in cui avessero cambiato idea. Pensavo a come barattare la mia vita. Per tutto il tempo ho temuto il peggio, anche se devo dire che mi hanno trattato bene e con rispetto. Ho bevuto solo acqua, ed assaggiato qualche banana ed un po’ di pane. Per 8 giorni ho vissuto così, con loro armati, a turno sempre vicino a me. All’improvviso uno di loro in inglese mi ha detto che mi avrebbero liberato. Abbiamo camminato un po’ nella giungla, ed a 2 chilometri da un villaggio mi hanno lasciato. Al primo posto di Polizia – conclude – quando ho detto chi fossi tutti hanno fatto un salto in aria». Da quel momento solo tanta gioia. Marcello non sa chi fossero i suoi rapitori, né se è stato pagato un riscatto. Ci tiene però a dire: «Sono stato liberato perché il mio Paese, l’Italia, e la società dove lavoro, sono riusciti a far intervenire chi è stato in grado di compiere una grande operazione di intelligenze. So che sono intervenuti anche ambasciatori. Da questa esperienza ho capito di dover essere orgoglioso di essere italiano, perché la Farnesina ha badato ad assicurare la mia incolumità, e fiero di essere randazzese. Non lo credevo, ma ho scoperto che Randazzo è una vera comunità, capace di stringersi affettuosamente attorno alla mia famiglia nei momenti più brutti. Ho scoperto di avere tanti amici veri. A tutti dico grazie, felice di passare con i miei un Natale sereno».
Gaetano Guidotto Fonte “La Sicilia” del 18-12-2013