Nuvoloni scuri si sono addensati sopra i tetti del Municipio di Randazzo. L’avviso di garanzia recapitato al sindaco Francesco Sgroi (che si è candidato alle elezioni Regionali nella lista Autonomisti e Popolari), al presidente del Consiglio, Carmelo Tindaro Scalisi e all’ex consigliere Marco Crimi Stigliolo per corruzione elettorale gettano pesanti sospetti sull’attività amministrativa e politica. Ai raggi “x” ci sono le elezioni comunali del 2018 ma due degli indagati, Sgroi e Scalisi, sono attualmente ai vertici dei ruoli istituzionali del Comune. Nelle 300 pagine dell’ordinanza firmata dal Gip Daniela Monaco Crea ci sono intercettazioni che lasciano trasparire «inquietanti» contatti tra i politici e gli esponenti del clan Sangani. Precisamente – come si legge nel capo di imputazione – il sindaco Sgroi e Crimi Stigliolo avrebbero promesso a Giovanni Farina (cugino dell’ex consigliere) in cambio di un pacchetto di voti un posto fisso nella ditta dei rifiuti “Ecolandia”. Scalisi avrebbe assicurato a Samuele Portale oltre all’impiego nella ditta dei rifiuti anche un alloggio popolare. Scalisi e Stigliolo nel 2018 sono stati eletti nella lista civica “Insieme per Randazzo”. Farina e Portale, invece, organico del gruppo criminale. Il Gip descrive un clima molto «pesante» dopo il voto. Sarebbe stato «risaputo in paese, che Sgroi avesse comprato i voti e promesso favori che non aveva poi concesso». Una foto che diventa più nitida leggendo alcune intercettazioni.
A marzo 2019 Giovanni Farina discute con Antonino Romano del «caso dell’ambulante Rosario Mineo, nipote dei Sangani» a cui sarebbe stato promesso un posto fisso per il chiosco dei carciofi e invece «aveva ricevuto un controllo della polizia municipale». Di questo si era lamentato con l’ex presidente del Consiglio Alfio Ragaglia. «Lui Francesco (Sgroi, ndr) te lo dico bello chiaro e tondo…è salito…perché si è comprato i voti inc…Ha uscito i soldi…Altrimenti non saliva….». E’ sempre Farina, che dopo le elezioni ha ottenuto un contratto a tempo determinato alla “Ecolandia”, il protagonista di un’altra conversazione in cui una persona non identificata evidenzia come Sgroi non potesse tirarsi indietro rispetto alle promesse fatte in campagna elettorale. «Vedi che io mi sono dovuto calare…ho portato bei voti a te!… tu ora devi corrispondere… tu sei stato eletto per i miei voti!… quindi vedi cosa devi fare… ». Uno scenario che apre lo spettro di un accesso ispettivo della Prefettura, come accaduto alcuni giorni fa a Palagonia. Laura Distefano Fonte “La Sicilia” del 27-10-2022
LE ESTORSIONI PRIMA LE MINACCE POI LE RICHIESTE ALL’IMPRENDITORE VITIVINICOLO – «Tu parli troppo ora ti sistemo io». Questo è il testo di un biglietto recapitato a un imprenditore vitivinicolo di Randazzo alcuni anni fa. Una chiara intimidazione che per il gip Daniela Monaco Crea consentirebbero di accertare l’esistenza del clan Sangani – collegato ai Laudani – già da diverso tempo. Una delle principali attività illecite emersa nelle indagini dell’operazione “Terra Bruciata” è quella di fare cassa con il pizzo. Nel 2019, Giovanni Farina e Vincenzo Gullotto passano davanti ai cancelli di una delle aziende vinicole più importanti della Sicilia. È immediato pensare di poterlo inserire nel bilancio del clan, nella voce “entrate”. «Qua chi ci mangia non si sa vero?» – chiede Gullotto alludendo ad una possibile estorsione e, ricevuta la risposta che il titolare «è un pezzo di sbirazzo», l’indagato afferma «è da tempo che glielo dico io…». Le tangenti alle aziende commerciali insomma occuperebbero buona parte degli affari criminali del gruppo mafioso che come racconta il pentito Carmelo Porto, ex reggente dei Cintorino di Calatabiano (alleati dei Cappello), farebbero riferimento ai vertici di Piedimonte Etneo e quindi l’ormai deceduto Paolo Di Mauro, “u prufissuri” e Carmelo Pollicina.
Storicamente i Sangani facevano gruppo con i Ragaglia, ma poi nel 1997 – come ha raccontato una collaboratrice di giustizia oltre venti anni fa – ci sarebbe stata una spaccatura tra le due famiglie a cui si arrivò durante un incontro in carcere tra i vertici del clan. E da questo anche «la gestione delle estorsioni» venne ripartita. Un quadro «allarmante» quello che viene fuori dalle carte dell’inchiesta e anche dai verbali delle vittime individuate dai carabinieri. «Siamo tornati indietro di trenta, quarant’anni», dicono dall’Asaec, associazione anti racket di Catania. «Lo ripetiamo ancora e lo ripeteremo finché sarà necessario: indispensabile, di fronte a questo quadro, una sinergica opera di sensibilizzazione da parte delle istituzioni, prefettura, forze dell’ordine e componenti sociali e associative. Senza una risposta immediata – concludono – da parte dello Stato il pericolo è quello di un controllo sempre più vasto e capillare dell’economia locale da parte della criminalità organizzata». Laura Distefano Fonte “La Sicilia” del 27-10-2022