Il quarantennale della colata lavica del 1981 che minacciò l’abitato di Randazzo ieri è stata l’occasione per ricordare l’evento e parlare di vulcanologia, di tutela dell’ambiente, del dramma che i randazzesi dell’epoca vissero e soprattutto di fede. Il sindaco Francesco Sgroi, infatti, prima da dare inizio alla manifestazione, cui hanno partecipato vulcanologi ed esperti, si è recato con padre Gabriele Aiola presso la statua di San Giuseppe, eretta un anno dopo la colata per ringraziare il patrono di aver salvato la Città. Aspetto prettamente religioso che si interseca fra gli interrogativi della scienza, che ancora oggi si domanda come una colata fuoriuscita da una bocca più bassa rispetto a quella velocissima che il giorno precedente in 6 ore arrivò al fiume, si sia potuta fermare prima dell’abitato. Come ha evidenziato il vulcanologo Mauro Coltelli, spiegando l’eccezionalità della colata, infatti, l’Etna allora fu capace di “scaricare”600 metri cubi di lava al secondo, quando in media le altre colate ne fanno fuoriuscire appena 30. E se il direttore dell’Ingv di Catania, Stefano Branca, ha sottolineato l’imponenza degli attuali sistemi di monitoraggio rispetto a quelli di allora, «oggi ci sono 150 stazioni di rilevamento sul Vulcano, allora appena 6», il direttore del Parco dell’Etna, Giuseppe Di Paola ha ribadito come «nel rispetto dell’ambiente e della tutela dell’unicità dei luoghi bisogna costruire momenti di sviluppo», perché, come ha poi rimarcato il vulcanologo Salvatore Caffo «l’uomo può creare bellezza se imita la natura, non se la domina».
E quella colata evidenziò anche i limiti della comunicazione di allora: «In Germania – ha sottolineato il vulcanologo Boris Behncke – già il 16 davano per imminente la colata, mentre Randazzo non sapeva nulla», con Giovanni Petrullo, Alfio Ragaglia e l’architetto Aldo Meli che hanno raccontato le emozioni e le paure di allora. «Bisognava organizzare questa manifestazione – ha concluso il sindaco Francesco Sgroi –per dare atto a chi in quel tempo ha agito e per ricordare un momento terribile che ci auguriamo di non rivivere mai più».