È come una giostra da cui è impossibile scendere la storia di Rita Spartà la donna-coraggio a cui la mafia – 31 anni fa uccise il padre Antonio e i suoi due fratelli, Pietro Vincenzo di 26 e Salvatore di 19. Assassinati a colpi di fucile nell’ovile in cui lavoravano nelle campagne di Randazzo. La sera del 22 gennaio 1993 gli Spartà morirono per aver detto “no” al pagamento del pizzo e soprattutto per essersi rifiutati di accettare di piegarsi alle “regole” della famiglia mafiosa del paese, quella dei Sangani. Nei giorni scorsi a Rita – in qualità di persona offesa (insieme con la madre Carmela Lo Castro e la sorella Venera Daniela) – i carabinieri di Randazzo, quel paese che non ha mai lasciato, hanno notificato una richiesta di incidente probatorio emesso dal sostituto procuratore Alessandro Sorrentino. L’atto giudiziario riguarda il ritrovamento – nell’ambito dell’operazione “Terra bruciata” a gennaio dell’anno scorso di alcune armi e munizioni in contrada Dagala Longa: un fucile doppietta a canne mozze marca Beretta calibro 12 con matricola abrasa, un fucile monomania semiautomatica marca Beretta calibro 12 con matricola abrasa e otto cartucce calibro 12 di cui una a palla asciutta marca Fiocchi, due a pallettoni marca Winchester, tre a pallettoni marca Bornaghi e due a pallettoni marca fiocchi. Per Rita e la sua famiglia una ferita che si riapre. «I carabinieri – spiega Rita a La Sicilia ci hanno notificato un incidente probatorio dopo il sequestro delle armi dello scorso anno. Io conservo con me da 31 anni alcune pallottole che avevo raccolto nell’ovile e ne ho parlato con i carabinieri che le hanno acquisite per fare delle comparazioni. In poche parole si riparte nuovamente da zero».
Ma la richiesta di incidente probatorio è stata notificata soprattutto ai cinque indagati a vario titolo, per detenzione illecita di armi e per concorso nell’omicidio tre Spartà. Un anno fa, infatti, era il 25 gennaio 2023, i militari del Norm, supportati dallo Squadrone Eliportato Cacciatori di Sicilia, nelle zone vicine a un ovile di contrada Dagala Longa struttura nella piena disponibilità della famiglia Sangani, hanno trovato 8 cartucce calibro 12 e due armi lunghe: una doppietta “a canne mozze” e un fucile monocanna, nascoste in una intercapedine di struttura muraria in pietra lavica dopo essere state avvolte in dei panni e parti di copertone. Da qui, in considerazione di una verosimile compatibilità tra le armi trovate vicino all’ovile dei Sangani e quelle utilizzate per il triplice omicidio Spartà, la Dda di Catania ha richiesto il conferimento di incarico peritale specialistico, per fare accertamenti di tipo balistico, biologico e dattiloscopico, sui reperti in questione, indagando, nel un nuovo procedimento penale: Salvatore Sangani, Claudio Ragaglia, Alfio Franco, Francesco Paolo Giglio e Giuseppe Allia.
Le attività di perquisizione dei carabinieri del gennaio 2023, che inizialmente miravano a requisire le armi eventualmente rimaste nella disponibilità del clan Sangani dopo l’operazione “Terra Bruciata” (che si è conclusa il 26 ottobre 2022 con l’arresto di 21 persone), potrebbero fare luce su tutta un’altra storia. Per quegli omicidi infatti, dal 1993 ad oggi, sono state indagate diverse persone e aperti più procedimenti penali. Nel gennaio 2006 però, la Corte di Cassazione, ha confermato la condanna per il reato di omicidio continuato in concorso solo nei confronti di Oliviero Sangani. F.A. R. Fonte “La Sicilia” del 06-03-2024