Catania. Sotto il Vulcano c’è chi prepara le barricate. L’ultima versione del decreto dell’assessorato regionale della Saluta ha tagliato un punto nascita inizialmente “graziato”: Bronte. Che guarda caso è il feudo di Pino Firrarello, uno dei più acerrimi nemici politici del governatore Raffaele Lombardo. Ma il sindaco della città del pistacchio non ne fa una questione pesonale: «Visto lo stato disastroso della sanità siciliana ormai non mi stupisco di nulla, tanto meno del fatto che in extremis Bronte sia stato escluso dalle deroghe dell’assessorato». Il senatore del Pdl annuncia battaglia: «Faremo di tutto per dimostrare, carte alla mano, che si sta commettendo un errore madornale. E se non dovessimo essere convincenti con la ragione e il dialogo allora andremo fino in fondo con qualsiasi mezzo, compresi i ricorsi giudiziari». Firrarello fa propria l’istanza della comunità di Bronte, ma non soltanto: «Il bacino d’utenza del nostro punto nascita serve anche i cittadini di Maletto, Randazzo e Maniace in provincia di Catania, e di San Teodoro, Cesarò e Santa Domenica nel Messinese». È pure che vero che il trend di parti a Bronte è in continuo calo: dagli oltre 600 di tre anni fa ai 341 del 2011. «Ma è il frutto di un depotenziamento mirato – spiega Firrarello – che ha visto Bronte perdere il primario di ruolo e due aiuti su quattro. È il cane che si morde la coda…». E adesso la patata bollente viene scaraventata sul tavolo di Gaetano Sirna, commissario straordinario dell’Asp di Catania. Che, se lo riterrà opportuno, potrà inviare all’assessore Massimo Russo una relazione motivata per chiedere una o più deroghe. La questione riguarda anche l’altro punto nascita da riconvertire: quello di Paternò, 440 parti l’anno scorso (Giarre è stato già chiuso da un anno). «Premesso che sono completamente d’accordo sulla chiusura delle piccole strutture – precisa Sirna – e che se mia moglie dovesse partorire non la porterei mai in un posto che non assicura gli standard di sicurezza indicati dalla letteratura scientifica, è anche vero che alcuni punti nascita presentano condizioni orografiche e di comunicazione particolari. E non mi riferisco tanto a Paternò, che a pochi chilometri ha Biancavilla e il Garibaldi di Catania e che quindi non ha ragione di essere mantenuto, quanto a Bronte, che serve anche il bacino montano etneo e messinese, con rilevanti distanze da percorrere in caso d’emergenza e difficoltà nei collegamenti viari. Studieremo una soluzione che possa tenere conto di questi fattori e nelle prossime settimane approfondiremo la questione al meglio. Il personale delle strutture da chiudere sarà inserito nella mobilità aziendale: nessuno perderà il posto». Sirna punta però alla pars construens del decreto: «Un sistema basato su efficienza e sicurezza presuppone un investimento sulla qualità e noi vigileremo affinché tutti i punti nascita corrispondano agli standard».
Mario Barresi fonte “La Sicilia” del 10-01-2012
RUSSO: “CHIUDONO I PUNTI NASCITA MA I PARTI ORA SARANNO PIU’ SICURI”
Catania.La Befana avrà pure lasciato doni (pochi) e carbone (molto). Ma in partenza dalla Sicilia ha riempito il proprio sacco di un bel po’ di “cicogne”. Ed è molto probabile che sarà un viaggio di sola andata: «Il piano regionale dei punti nascita non si tocca, andiamo avanti a testa alta». Parola dell’assessore alla Salute, Massimo Russo, che parla per la prima volta dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della Regione Siciliana del 5 gennaio del decreto “Riordino e razionalizzazione della rete dei punti nascita”. Soltanto il “minimo sindacale” di disponibilità ad ascoltare le deroghe eventualmente proposte dai manager delle Asp sui sette punti nascita (Lipari, Pantelleria, Bronte, Nicosia, Corleone, Mussomeli e Santo Stefano di Quisquinia) dapprima graziati e adesso tagliati comunque. In base alla nuova riorganizzazione la rete regionale dei punti nascita siciliani scende drasticamente dalle attuali 70 strutture a 42 (15 di secondo livello e 27 di primo), salvo ulteriori modifiche. «I direttori generali delle aziende sanitarie e le strutture private accreditate – si legge nel decreto – avranno tempo fino al 30 giugno 2012 per presentare un apposito piano di riconversione, d’intesa con il Comitato percorso nascita regionale (CPNr) e il Comitato percorso nascita aziendale/locale (CPNa), delle strutture interessate per l’accorpamento o la disattivazione dei punti nascita e di procedere entro il 30 settembre 2012 all’accorpamento o alla disattivazione degli stessi». Ma la testa è già al dopo: «Questa – afferma con convinzione l’assessore Russo – è una riforma epocale che mette la Sicilia in pole position fra le regioni italiane in materia di sicurezza del parto e di qualità dei servizi per partorienti e neonati. E sia chiaro: non è una questione di risparmio, perché il potenziamento della rete forse ci costerà anche di più, ma a regime con la riduzione dei cesarei e dell’ospedalizzazione vedrete che i conti torneranno». La prossima settimana a Palermo si terrà un incontro fra l’assessore e tutti i direttori generali delle Asp, «per il potenziamento di tutto il percorso, dall’inizio della gravidanza fino al post-parto». Russo, che in parte ha scaricato la “bomba a orologeria” delle eventuali deroghe ai manager delle Asp, fa la guerra preventiva alle scontate proteste: «Non saranno tollerati particolarismi locali non motivati». E si chiede anche «il perché dell’atteggiamento schizofrenico di alcuni partiti che, dopo aver sostenuto il riordino a livello nazionale da cui scaturisce il piano regionale, adesso a Palermo fanno le barricate». I numeri a cui si riferisce l’assessore Russo partono dagli standard dell’Organizzazione mondiale della sanità, che boccia senza appello le strutture con un numero basso di parti l’anno. E in questa classifica la Sicilia (con il 52,9% di nascite in strutture con meno di 500 interventi l’anno) è in fondo a livello nazionale; il Veneto si attesta al 7,3%. I piccoli punti nascita sono quasi sempre sprovvisti dei requisiti di sicurezza previsti dagli standard internazionali di sicurezza, come la copertura di una “guardia attiva” per servizi ostetrici, di anestesia e pediatrici. Ma la nostra regione – secondo i dati della Società italiana di ginecologia e ostetricia – presenta altre “storture”: il record, dopo la Campania, del ricorso al taglio cesareo (il 53,1%, al fronte di una media nazionale del 35,4%), ma anche un numero bassissimo di gravidanze seguite dai consultori (meno del 15%) e un’elevatissima percentuale di assistenza ostetrica privata (86%). Questi numeri si accoppiano a quelli sui cosiddetti “casi di malasanità”. Secondo il dossier della commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario – tra il 1° gennaio 2009 e il 31 agosto 2010 – in Sicilia si registrano 102 procedimenti penali in corso, dei quali ben 20 riguardano casi avvenuti durante la gravidanza o il parto. Naturalmente ci sono delle forti criticità strutturali che se il piano di riorganizzazione non dovesse riuscire a risolvere, allora saremmo di fronte a una “rivoluzione” fallita. In atto nell’89,7% delle strutture siciliane manca la terapia intensiva neonatale (53,8% il dato della Toscana), nel 52% dei casi non c’è un reparto di neonatologia dedicato (14,6% in Veneto), nel 73,4% nemmeno l’ombra dello Sten (Servizio di trasporto per le emergenze neonatali) e nell’87,7% dello Stam (Servizio di trasporto assistito materno), al fronte di percentuali molto più rassicuranti a livello nazionale. Per questo motivo il decreto prevede un potenziamento delle strutture sul territorio: «Riorganizzazione delle Uo di Ostetricia e ginecologia, Pediatria, Neonatologia e Terapia intensiva neonatale», ma anche «potenziamento di Sten e Stam su base regionale, allo scopo di garantire ottimali livelli di efficacia, efficienza ed economicità gestionale». In attesa dell’altro passaggio, previsto per il 2013 e rilanciato da Russo: «Riconvertire i punti nascita con meno di mille parti l’anno, una prospettiva verso la quale dobbiamo cominciare a muoverci». Ma sarà un’altra storia.
Mario Barresi fonte “La Sicilia” del 10-01-2012