Il momento della resa dei conti tra le correnti interne al Partito democratico catanese sembra ormai essere arrivato. Complici il periodo congressuale e le divisioni che stanno, in parte, fiaccando i dem a livello nazionale, anche sotto il vulcano i mal di pancia iniziati con l’ondata dei nuovi ingressi iniziano a diventare sempre più patologici. A dare l’addio, questa volta, è Paolino Mangano, storico dirigente del circolo Centro storico, ex sindaco di Maletto, voce critica durante l’era della segreteria renziana e, in casa, di quella provinciale di Enzo Napoli. A far scattare la decisione, secondo quanto spiegato dallo stesso Mangano, la cosiddetta guerra delle tessere che, lo scorso weekend, ha portato il livello regionale a bloccare le iscrizioni straordinarie organizzate nei gazebo in diverse realtà territoriali per un «eccesso di domande». Una goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo di contrarietà alla linea politica che affonda le sue radici nell’appoggio al governo regionale di Raffaele Lombardo e culmina, in ultimo, nei momenti che hanno preparato la campagna per il referendum costituzionale. «Nei miei interventi ho sempre fatto presente il mancato rispetto delle più elementari regole della democrazia interna – racconta Mangano a MeridioNews – A partire proprio dalla convocazioni delle direzioni, non ogni due mesi come da statuto ma ogni quando veniva comodo al segretario provinciale». Ma non solo. «Non sono stati mai approvati i bilanci della federazione di Catania negli ultimi quattro anni – continua l’ormai ex dirigente – per non parlare dell’ingresso degli ex Articolo 4 deciso secondo accordi tra dirigenti e non con una consultazione». «Quando un partito cessa di esistere c’è un congresso che dice che è finito – continua – e questo Articolo 4 non l’ha fatto, perché evidentemente non c’è mai stata la cultura politica per farlo. Non c’è neanche stato un congresso di accettazione all’interno del Pd, né sono state rispettate le norme stabilite per le modalità d’accesso». Questa situazione, unita allo «svuotamento degli organismi dirigenti a favore delle varie putìe che fanno riferimento ai vari eletti o ai sindaci», non hanno più consentito di avere riconosciuta l’agibilità politica a chi «come me è sempre stato un uomo di partito», aggiunge. A questi momenti si aggiunge poi la gestione del tesseramento nei banchetti della scorsa settimana, definita da Mangano, una vera e propria «vergogna». «Chiunque può accedere e pretendere di essere iscritto – insiste – Anche un mafioso può venire li e volere la tessera, in questa operazione senza filtro e senza vaglio». Una modalità inedita, secondo l’ex sindaco, che mai è stata consentita in tutto il percorso che ha portato dal Partito comunista a quello democratico. «Nel Pci c’era un rigore maniacale, bisognava essere presentati dai cosiddetti garanti – aggiunge Mangano – e così è stato anche nel Pds e nei Ds. Non ci sono mai state queste forme di tesseramento a buon mercato». Un meccanismo che, stando alle parole dell’ex dirigente, si sarebbe verificato solo dopo l’ingresso dell’area che fa riferimento ai due deputati regionali Luca Sammartino e Valeria Sudano e che rappresenterebbe un «accaparramento delle posizioni di potere in periodo di congresso nazionale». «Non c’è mai questa folla nei tempi normali – spiega ancora – avviene solo in questa fase perché si devono decidere i dirigenti, le candidature per le prossime elezioni regionali e, successivamente, a quelle comunali e poi alle politiche». «Durante l’ultimo giorno per il tesseramento straordinario, sono venute da noi 16 persone reclutate da Luca Sammartino e un suo portaborse – chiarisce – Ma a una minima verifica delle motivazioni e dell’idea che li spingeva a farlo, abbiamo capito che non comprendevano nulla. Qualcuno gli ha detto di andare lì e probabilmente, ma non lo posso dire per certo, gli pagava la tessera». Per cercare di arginare le richieste il circolo ha preparato una scheda di preiscrizione e «abbiamo detto che la direzione deve stabilire i criteri per prendere i nuovi iscritti». Dopo questo, secondo Mangano, «il circolo è stato messo un po’ sotto osservazione, un’operazione veramente sporca, fatta dall’allora sottosegretario Davide Faraone, con il consenso di Renzi e Guerini». A pesare inoltre ci sarebbe l’inconsistenza del partito come voce determinante per la vita dell’amministrazione comunale di Catania. «Non c’è nessuna coscienza critica né alcun dibattito – ammette amareggiato – Tutto è stato deciso dalle segreterie, anche nei momenti più delicati come quello del referendum. Ma anche prima, storicamente, è mancato il coinvolgimento in decisioni pesanti come quella dell’appoggio al governo di Raffaele Lombardo, che è stata un’altra grande vergogna. Anche se chi l’ha decisa ora si comporta da verginello». Ma l’uscita dal Pd non coincide con la fine dell’impegno politico per Mangano. Porte aperte ora nei confronti del nuovo soggetto che è nato all’indomani della cosiddetta scissione dell’area bersaniana, i Democratici progressisti. «Sono sempre stato vicino a questi amici e compagni che si sono allontanati – conclude – e sto assumendo tutte le informazioni su questa formazione». Fonte Meridionews Catania