Un chimico brontese, conteso tra 3 continenti, con le sue ricerche viaggia pure nel tempo: Enrico Greco, 30 anni, sposato, laureato in Scienze chimiche all’università di Catania, dottorato sempre a Catania, si divide oggi tra Cina, Usa e Francia, spaziando dall’archeologia ai materiali del futuro come il “magico” grafene. «Già il dottorato – spiega Enrico Greco – l’ho fatto dividendomi tra Catania, università di Marsiglia, Cnr di Roma, ateneo di Pechino e University of South Florida». Il dottorato è finito a dicembre 2017, ma già a fine agosto Greco aveva ricevuto 6 proposte di lavoro (tutte straniere, «dall’Italia zero»), tra cui quella di un post-doc dall’ateneo di Pechino, università tra le 20 migliori al mondo, dove si trova oggi con una posizione per ricercatori eccellenti stranieri. Contemporaneamente, con l’università della South Florida, è iniziata «una collaborazione per analizzare residui solidi da scavi archeologici per identificare olio, vino, cibi cotti o residui rimasti in giare votive in siti archeologici. Abbiamo scoperto uno dei vini più antichi del mondo a Sciacca (quando l’abbiamo pubblicato era il più antico, poi è stato superato da altri di origine georgiana e armena) e ora continuiamo la collaborazione (io con la qualifica di Honorary Research Fellow, ma lì sono anche co-fondatore del Center for food and wine history) analizzando campioni maltesi e libanesi sui quali a breve pubblicheremo risultati».
Sempre nel campo dell’archeofood, l’anno scorso, invece, «in una collaborazione tra università di Catania e del Cairo (di cui ero primo autore, coordinata dai prof. Enrico Ciliberto e Salvatore Foti e portata avanti coi colleghi Rosaria Saletti e Vincenzo Cunsolo) e sviluppando un protocollo di proteomica specifico, abbiamo scoperto il residuo solido di formaggio più antico del mondo: risale a 3.200 anni fa, era un mix da latte bovino e ovino e vi abbiamo trovato la prima evidenza biomolecolare del batterio della brucellosi in Egitto». Dalla preistoria al futuro spinto: non viaggia infatti solo nello spazio tra tre continenti il chimico brontese, ma anche nel tempo. «All’università di Pechino mi occupo dello sviluppo di uno dei materiali più innovativi attuali: un aerogel di grafene. Il grafene è un foglietto dello spessore di un atomo (il materiale quindi più sottile immaginabile) composto solo di atomi di carbonio. Io unisco questi foglietti in strutture tridimensionali spugnose molto grandi, per ottenere campioni solidi di dimensioni di centimetri o decimetri di materiale estremamente poroso e leggero (il più leggero ottenibile oggi). Monto queste strutture e modifico il grafene con altre molecole per conferirgli determinate capacità progettate precedentemente: in questo momento, ad esempio, sto facendo un grafene ossido in aerogel unito con un polimero conduttivo per aumentarne le capacità di conduzione elettrica. Stiamo anche montando nanoparticelle di biossido di titanio dopato per conferire al grafene capacità fotocatalitiche e utilizzarlo così come filtro e riduttore di inquinanti ambientali per l’atmosfera». Una spiegazione in parole povere di concetti e ricerche estremamente complicati, i cui utilizzi sono i più disparati: «Dall’industria automobilistica a quella aerospaziale e ambientale. Io lavoro per il College di scienze e ingegneria ambientale, quindi le applicazioni che progettiamo sono vocate alla creazione di materiali rispettosi dell’ambiente in fase produttiva e che anche nell’utilizzo possano migliorare l’inquinamento atmosferico e delle acque».
E finora siamo a due continenti (America e Asia): ma con il post-doc a Marsiglia entra in scena l’Europa. «Il prof. Stéphane Viel dell’università di Marsiglia ha vinto un grant per un progetto del cui team faccio parte perché mi conoscevano dai tempi del dottorato e serviva loro una figura con competenze specifiche proprio sulle tecniche che uso a Pechino. Ho dovuto quindi anticipare i tempi perché il mio contratto di post-doc a Pechino finirà il 15 marzo 2020, mentre quello (pure per post-doc) a Marsiglia inizia il prossimo 1 aprile. Ho dovuto conciliare le due cose, mantenendo la collaborazione con entrambe le università, interessate a temi comuni: ai cinesi interessa studiare l’inquinamento atmosferico con la tecnica di cui sopra, che è la Risonanza magnetica nucleare in stato solido modificata con un nuovo prototipo di sonda che è la Dynamic Nuclear Polarization. A Marsiglia dovrò sviluppare al meglio materiali che possano essere analizzati con la Dnp per la risonanza magnetica nucleare in stato solido. Mi dividerò così tra Cina, Francia e Florida». Un cervello etneo, quindi, conteso tra 3 continenti: «La mia grande fortuna – sottolinea Enrico Greco – è il background estremamente solido che mi ha fornito l’università di Catania. Gli studi in Italia sono di altissima qualità e mi ritengo molto fortunato di avere studiato a Catania che, pur con tutte le difficoltà tecniche per carenza di fondi, ha una qualità dell’insegnamento e delle conoscenze elevatissime. Il background che ho ricevuto a Catania mi ha permesso di avere una flessibilità mentale per risolvere problemi specifici utilizzando una solida multidisciplinarietà». Un motivo per il quale gli italiani sono molto richiesti. E l’Italia se li fa sfuggire, dopo avere investito tanti soldi per prepararli in maniera così eccellente: «Ci vorrebbe una politica diversa, si dovrebbe spendere molto di più in ricerca. Riusciamo a rimanere al top mondiale pur non avendo la stessa quantità di investimenti di altre nazioni, riusciamo a competere con gli Usa pur avendo forse un centesimo dei finanziamenti che hanno gli atenei americani, a competere con la Cina che ha tantissimi soldi ma non ha sviluppato una solida cultura nella ricerca. Ed è quella che i cinesi cercano in tutti i ricercatori europei ed americani che attraggono qui. Noi sostanzialmente qui siamo una risorsa: la Cina, gli Usa, la Francia non hanno speso un centesimo per la mia formazione, tutta pagata dallo Stato italiano, ma appena all’inizio della mia carriera produttiva, ancora sei mesi prima di finire il dottorato, avevo ricevuto proposte di lavoro come post-doc in diverse università americane, europee, cinese, arabe. Dall’Italia zero. E come me gli altri miei colleghi. Siamo quasi tutti all’estero, tranne una collega rimasta in Italia perché ha vinto il concorso nella polizia scientifica». Tutti all’estero, ma disponibili a tornare «alle giuste condizioni», perché per il dott. Greco c’è il cruccio umano della lontananza della famiglia, ma soprattutto «vorrei fare ricerca nel mio Paese e aiutare l’Italia. Io lavoro qui su tecnologie all’avanguardia, applicazioni sensibili per il futuro, però lo sto facendo per un altro Paese. Cina, Usa, Germania, Francia vanno avanti e noi rimaniamo indietro su tanti temi e tecnologie sensibili. Le università italiane continuano a fare ricerca d’eccellenza ma avrebbero bisogno di una ventata di aria fresca: assumere più giovani e disporre di maggiori fondi. Non si può pensare che ne vanno dieci in pensione e se ne assume uno. Nel resto del mondo è esattamente il contrario: va in pensione uno e ne assumono dieci, perché sanno che ogni singolo soldo speso nella ricerca scientifica ha un ritorno che mediamente va da 7 a 10 volte. Però non è un ritorno immediato, quello che serve alla politica per fare campagna elettorale. In Cina finora il finanziamento alla ricerca è stato enorme e basato su piani pluriennali. Io qui ho vinto questa posizione di eccellenza, ho un ottimo stipendio, benefit, mi hanno supportato nel disbrigo delle pratiche burocratiche, mi hanno assegnato gratuitamente un appartamento nel campus in un compound di 9 edifici che ospita circa 2.000 ricercatori e studenti solo stranieri e, come primo grant di ricerca, mi hanno messo a disposizione 4 milioni di euro. Mi hanno dato carta bianca nella ricerca. Venendo da Catania e avendo quindi una cultura legata all’ottimizzazione delle risorse, ho preparato un piano più economico ma un po’ meno efficiente e uno più efficiente ma più dispendioso. Loro mi hanno detto: “Non ci sono problemi, hai 4 milioni di euro di fondi, spendili”. Arrivato da poco meno di due settimane, ho detto che avremmo dovuto comprare un macchinario da 200mila euro. La risposta è stata: “Ok, compralo”. Mi piacerebbe fare ricerca a Catania, però…». Altro mondo, altra mentalità, altre opportunità in una Cina diversa da quella che noi occidentali immaginiamo: «Pechino o Shanghai sono città estremamente cosmopolite. Il mondo sta passando da qua, ci sono persone di tutti i continenti, si trova di tutto: non il pistacchio di Bronte (quello me lo porto da casa), però se voglio la ricotta fresca ragusana, le mozzarelle o il parmigiano li trovo senza problemi. Se voglio la pizza, ci sono ottime pizzerie napoletane di grandissima tradizione. Tutto il mondo, il futuro sta passando da qui, i migliori articoli pubblicati nell’ultimo anno hanno almeno un’università cinese tra quelle affiliate, i cinesi stanno veramente pompando gli investimenti e lo stanno facendo bene. Io spero che qualcuno da noi prenda esempio, però è difficile: qui pianificano anche fino a 40 anni, sanno dove vogliono arrivare, investono e lo fanno. Qui è tutto avanzatissimo, ipertecnologico: poi torno in Italia e non mi accettano la carta di credito e mi sembra di tornare alla preistoria». Una “preistoria” per la quale però è forte la nostalgia «di famiglia, amici, colleghi, dell’Etna, del mio pistacchieto, del mangiare all’aperto», mentre non manca al dott. Greco «l’inefficienza, il modo in cui non sappiamo gestire i nostri patrimoni umani e le risorse, la burocrazia. Non mi manca il clientelarismo: qui, come in Francia e negli Usa, importa solo quello che so fare, è veramente tutto basato sul merito. In Sicilia no. Ho trovato persone eccezionali, come il prof. Enrico Ciliberto e il prof. Roberto Purrello che non smetterò mai di ringraziare, però ho avuto anche difficoltà in altri casi e questo non mi manca per niente». Nessun rimpianto, ovviamente – «Faccio in realtà quello che mi piace, cioè ricerca a ottimi livelli» – anche se «andare via dalla Sicilia è difficile, è complesso staccarsi da un ambiente confortevole. Però credo che per la mia generazione fare delle esperienze, soprattutto in questa parte del mondo, è fondamentale». E un giramondo che ha visitato più di 35 Paesi negli ultimi 10 anni non può che consigliare ai giovani coetanei «di viaggiare il più possibile e di scoprire la diversità. Senza mai dimenticare le proprie radici o la propria identità: io sono fieramente italiano, fieramente siciliano, catanese, brontese, non lo rinnego e lo porto sempre con me. Non per questo, però, mi sono fossilizzato. Suggerisco a chi può, a chi vuole, di non avere pregiudizi verso l’Asia, la Cina, il Giappone o altri Paesi emergenti come il Vietnam, il Sud-est asiatico, fucina del futuro. Aprirsi al mondo, insomma, imparare le lingue e viaggiare». Certo, «l’adattabilità è fondamentale. Tre anni fa quando venni qui durante il mio dottorato presi un appartamento veramente fatiscente, poi però mi sono adattato e questa esperienza mi ha temprato. La flessibilità e l’adattamento sono fondamentali per capire come funzionano le cose in altri posti e comprendere che il proprio orticello non è il mondo». Maria Ausilia Boemi Fonte “La Sicilia” del 11-03-2019